Fino a non molto tempo fa era la nazione simbolo dell’accoglienza, ma ora le porte si sono chiuse. Mentre i socialdemocratici rincorrono la destra di governo, e il tabù delle privatizzazioni va in frantumi. Come ci dicono italiani emigrati, sindacalisti e artisti

Quando alla fine degli anni 60 cominciavano ad arrivare gli emigrati italiani in Norvegia, un posto di lavoro si poteva trovare nel giro di un giorno. Camerieri, pasticceri, imbianchini, manovali, piastrellisti, infermieri, falegnami, ciabattini, cuochi, queste erano le occupazioni principali, oppure operai nelle fabbriche come la Christiania Spikerverk, che conservava l’antico nome della capitale scandinava e produceva chiodi di qualità, dove lavorò sulle trafilatrici e tra il ferro incandescente, il poeta marchigiano Luigi Di Ruscio, amato da Quasimodo e Volponi. Legò la sua epica a questa città, soprattutto in un libro memorabile, La neve nera di Oslo (oggi in “Romanzi”, Feltrinelli). Quelli come lui, s’incontravano il fine settimana sulla Karl Johans gate, la strada principale, bevevano un caffè e potevano parlare in italiano con i connazionali venuti soprattutto dal sud d’Italia, ma anche da altre parti, andavano a ballare al Regnbue, dove all’uscita poteva succedere che facessero a cazzotti con i giovani del luogo per via delle ragazze o perché, per deriderli, li chiamavano in modo dispregiativo dego, oppure facevano serata al Circolo degli italiani per bere un bicchiere di vino e sentire l’aria di casa.

Quelli che lo scrittore marchigiano chiamava “paradisi socialdemocratici”, oggi non ci sono più neanche qui, proprio in questi giorni si è insediato in Parlamento il nuovo governo conservatore, rieletto di recente, una coalizione con dentro anche la destra populista del Partito del progresso, e le sue sono politiche molto ostili a nuovi ingressi di immigrati. Ne parlo con il mio vecchio amico Domenico Trivilino nel suo appartamento luminoso a ridosso della fermata della metropolitana di Majorstuen, col parquet lucido e alle pareti molte opere di arte contemporanea, nel cuore della città e vicino al Vigeland Park. Lui è venuto qui mezzo secolo fa da Ortona, ha sposato Marit, una donna norvegese, e lavorato per L’Enit e l’Istituto di cultura, adesso è un pensionato ma da molti anni presidente del Circolo degli italiani, fa parte della Consulta per l’immigrazione del Comune di Oslo ed è un’autorità riconosciuta tra i nostri connazionali.

«Il sistema del welfare è sotto attacco, pensare che una volta lo Stato pagava ai cittadini anche…

Il reportage di Angelo Ferracuti prosegue su Left in edicola


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