Che alle elezioni vincessero le destre era, purtroppo, ampiamente prevedibile. Il risultato del voto non ci ha stupito ma, non per questo, è stato meno doloroso. “C’è sinistra dopo il 4 marzo” avevamo titolato pensando già al dopo, ad organizzare seminari e incontri, proponendoci come laboratorio e luogo di dibattito per la costruzione di una nuova sinistra, che ancora non c’è. C’è però una linea rossa di ricerca, coerente e vitale che percorre tutta la storia di Left fin dal 2005 quando, durante un convegno in difesa delle donne contro l’antiscientifica e liberticida Legge 40, prese forma l’idea di questo settimanale, nato dalla trasformazione dello storico Avvenimenti, liberato dal vecchio cattocomunismo. Eravamo e siamo, più che mai, convinti che una nuova sinistra non possa nascere in ginocchio né tanto meno figlia di regimi comunisti o teocratici. Può nascere solo se libera dalle catene della religione e di un cieco materialismo, entrambi funzionali al turbo capitalismo che produce sempre più profonde disuguaglianze e ingiustizia sociale. Questo drammatico esito in Italia è più che mai evidente. Al rapporto Istat ora si aggiunge quello di Bankitalia, che racconta di una Penisola sempre più polarizzata. Al Sud il 23 per cento della popolazione rischia di scivolare sotto la soglia della povertà. Disoccupazione e lavoro povero, la fanno da padrone. Il verbo neoliberista predicato da centrodestra e centrosinistra si è infranto sulle sponde aspre della realtà nel Mezzogiorno. Alle promesse di Berlusconi e Renzi riguardo a fantomatiche migliaia di posti di lavoro che sarebbero spuntati con il ponte sullo Stretto, nessuno crede più. Il Sud alza la testa, non accetta più il giogo di consorterie partitiche e mafiose. Il risultato del voto, da questo punto di vista, parla forte e chiaro. Dal Meridione si è levato un sonoro no alle oligarchie legate alle banche e ai centri di potere internazionali. Un no alle cosche e congreghe del malaffare che lo rendono prigioniero di un annoso immobilismo. Ma ha detto no anche ai cartelli elettorali che candidavano rappresentanti di un ceto politico sempre più separato dalla vita del Paese. Tristemente osserviamo, però, che il vuoto di idee del centrosinistra è stato quasi del tutto riempito dalla demagogia populista. La Lega ha proposto l’abolizione della riforma Fornero, cosa che nemmeno Leu aveva osato avanzare (solo Potere al popolo l’aveva messo in programma). Il centrosinistra così ha lasciato che un partito di destra, xenofobo, come la Lega potesse fingersi dalla parte dei lavoratori. Il populismo sovranista del partito di Salvini avanza giocando sull’ignoranza, lucrando sulla rabbia, illudendo che l’isolamento nazionalista possa aiutare a superare la crisi. Ed è una destra pericolosa innervata di un’ideologia identitaria, etnico-religiosa. In questo scenario da brivido, tuttavia qualcosa si è mosso, come accennavamo. Non mi riferisco tanto ai Cinque stelle che ancora non hanno mostrato una chiara identità («Siamo un po’ come la Dc, non siamo né destra né sinistra», Grillo dixit), quanto alla domanda di cambiamento che viene da ampie fasce di elettori che, delusi dal centrosinistra, con questo voto di protesta hanno rottamato i tardi epigoni della terza via blairiana. La gran parte di loro vive al Sud. E da lì è partito anche il movimento internazionalista, di sinistra, lanciato da De Magistris con Varoufakis. A Napoli è nato Potere al popolo per iniziativa di studenti e ricercatori precari, che sono riusciti a connettere realtà politiche e dell’associazionismo di base, proponendo di mettere fuori legge CasaPound e Forza nuova, di abolire il Jobs act, la riforma Fornero e la Buona scuola, di ripristinare l’articolo 18, di tagliare le spese militari e cessare di dare soldi alle scuole private, di abolire i Patti lateranensi, riportando in primo piano i diritti delle donne e dei migranti. Seppur da un punto di vista diverso, pensando che il pensiero di Marx è necessario ma non sufficiente, con loro - e con quel che resta di Liberi e uguali - vorremmo continuare a dialogare, argomentando una critica radicale all’antropologia su cui si basa il capitalismo che riduce gli stessi lavoratori a merce, proponendo di approfondire la ricerca sulla realtà umana, che non è fatta solo di bisogni ma anche di esigenze di realizzazione di sé in rapporto con gli altri. La ricerca teorica in questo ambito c’è già ed è rivoluzionaria. [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola

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Che alle elezioni vincessero le destre era, purtroppo, ampiamente prevedibile. Il risultato del voto non ci ha stupito ma, non per questo, è stato meno doloroso. “C’è sinistra dopo il 4 marzo” avevamo titolato pensando già al dopo, ad organizzare seminari e incontri, proponendoci come laboratorio e luogo di dibattito per la costruzione di una nuova sinistra, che ancora non c’è. C’è però una linea rossa di ricerca, coerente e vitale che percorre tutta la storia di Left fin dal 2005 quando, durante un convegno in difesa delle donne contro l’antiscientifica e liberticida Legge 40, prese forma l’idea di questo settimanale, nato dalla trasformazione dello storico Avvenimenti, liberato dal vecchio cattocomunismo. Eravamo e siamo, più che mai, convinti che una nuova sinistra non possa nascere in ginocchio né tanto meno figlia di regimi comunisti o teocratici. Può nascere solo se libera dalle catene della religione e di un cieco materialismo, entrambi funzionali al turbo capitalismo che produce sempre più profonde disuguaglianze e ingiustizia sociale. Questo drammatico esito in Italia è più che mai evidente. Al rapporto Istat ora si aggiunge quello di Bankitalia, che racconta di una Penisola sempre più polarizzata. Al Sud il 23 per cento della popolazione rischia di scivolare sotto la soglia della povertà. Disoccupazione e lavoro povero, la fanno da padrone. Il verbo neoliberista predicato da centrodestra e centrosinistra si è infranto sulle sponde aspre della realtà nel Mezzogiorno. Alle promesse di Berlusconi e Renzi riguardo a fantomatiche migliaia di posti di lavoro che sarebbero spuntati con il ponte sullo Stretto, nessuno crede più.

Il Sud alza la testa, non accetta più il giogo di consorterie partitiche e mafiose. Il risultato del voto, da questo punto di vista, parla forte e chiaro. Dal Meridione si è levato un sonoro no alle oligarchie legate alle banche e ai centri di potere internazionali. Un no alle cosche e congreghe del malaffare che lo rendono prigioniero di un annoso immobilismo. Ma ha detto no anche ai cartelli elettorali che candidavano rappresentanti di un ceto politico sempre più separato dalla vita del Paese. Tristemente osserviamo, però, che il vuoto di idee del centrosinistra è stato quasi del tutto riempito dalla demagogia populista. La Lega ha proposto l’abolizione della riforma Fornero, cosa che nemmeno Leu aveva osato avanzare (solo Potere al popolo l’aveva messo in programma). Il centrosinistra così ha lasciato che un partito di destra, xenofobo, come la Lega potesse fingersi dalla parte dei lavoratori. Il populismo sovranista del partito di Salvini avanza giocando sull’ignoranza, lucrando sulla rabbia, illudendo che l’isolamento nazionalista possa aiutare a superare la crisi. Ed è una destra pericolosa innervata di un’ideologia identitaria, etnico-religiosa. In questo scenario da brivido, tuttavia qualcosa si è mosso, come accennavamo. Non mi riferisco tanto ai Cinque stelle che ancora non hanno mostrato una chiara identità («Siamo un po’ come la Dc, non siamo né destra né sinistra», Grillo dixit), quanto alla domanda di cambiamento che viene da ampie fasce di elettori che, delusi dal centrosinistra, con questo voto di protesta hanno rottamato i tardi epigoni della terza via blairiana.

La gran parte di loro vive al Sud. E da lì è partito anche il movimento internazionalista, di sinistra, lanciato da De Magistris con Varoufakis. A Napoli è nato Potere al popolo per iniziativa di studenti e ricercatori precari, che sono riusciti a connettere realtà politiche e dell’associazionismo di base, proponendo di mettere fuori legge CasaPound e Forza nuova, di abolire il Jobs act, la riforma Fornero e la Buona scuola, di ripristinare l’articolo 18, di tagliare le spese militari e cessare di dare soldi alle scuole private, di abolire i Patti lateranensi, riportando in primo piano i diritti delle donne e dei migranti. Seppur da un punto di vista diverso, pensando che il pensiero di Marx è necessario ma non sufficiente, con loro – e con quel che resta di Liberi e uguali – vorremmo continuare a dialogare, argomentando una critica radicale all’antropologia su cui si basa il capitalismo che riduce gli stessi lavoratori a merce, proponendo di approfondire la ricerca sulla realtà umana, che non è fatta solo di bisogni ma anche di esigenze di realizzazione di sé in rapporto con gli altri. La ricerca teorica in questo ambito c’è già ed è rivoluzionaria.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola


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