Il sindaco di Parigi le metterà al bando entro il 2025. Così faranno i suoi colleghi di Città del Messico, Atene e Madrid. Di recente, proprio mentre era nella capitale messicana, Virginia Raggi ha promesso che Roma le anticiperà tutte: via i diesel a partire dal 2024. Pochi giorni prima la corte costituzionale della Germania ha sostenuto che, a prescindere della indicazioni del governo, tutti i sindaci delle città tedesche potranno emanare il bando, a partire dal 2025.
Pare proprio che si stia attrezzando anche la Cina a una completa trasmutazione del proprio parco auto, chi vorrà circolare nel Paese del Dragone a partire dal 2030 non potrà avere un’automobile che brucia combustibili fossili, ma dovrà munirsi di un’auto con motore elettrico.
Capita l’antifona, molte cause automobilistiche, Fiat compresa, hanno iniziato a puntare sull’automobile del futuro, magari passando per una forma ibrida.
Il motivo di questa rivoluzione dei motori è, almeno in apparenza, semplice: le auto diesel in particolare e quelle con motore che brucia combustibili fossili più in generale inquinano, mentre le auto elettriche promettono di essere più pulite.
Sulla prima parte dell’affermazione non ci sono dubbi. Le auto diesel inquinano. E, come si è visto negli ultimi anni, anche le case automobilistiche tecnologicamente più avanzate fanno fatica a contenere le emissioni sotto i parametri stabiliti dall’Europa e dall’Agenzia per l’Ambiente degli Stati Uniti (quella contro cui si sta battendo con veemenza Donald Trump).
Sulla seconda parte dell’affermazione bisogna fare qualche distinguo. Che non salva in nulla le diesel, ma impone vincoli stringenti alle elettriche.
Dobbiamo, infatti, distinguere due tipi di inquinamento cui possono concorrere le automobili. Il primo è quello locale. E può essere micidiale. Le auto diesel, per esempio, producono quantità notevoli di ossidi di azoto e particelle sottili. Come documenta Carla Ancona, ricercatrice del Dipartimento di Epidemiologia Ssr Lazio dell’Asl 1 di Roma, grande esperta di questo particolare aspetto del rapporto tra ambiente e salute, nel 2005 la sola esposizione agli ossidi di azoto in Italia ha ucciso oltre 23mila persone, cui bisogna aggiungere i quasi 35mila uccisi dall’esposizione alla cosiddette Pm 2,5, particelle molto sottili.
L’Italia è particolarmente esposta a questo inquinamento. Mentre la pianura Padana è l’area in assoluto a maggior rischio d’Europa. Molto è stato fatto negli ultimi 13 anni per ridurre l’inquinamento locale. E tra i vari strumenti utilizzati c’è stato anche quello di imporre precisi limiti di emissioni a ciascun auto. Quelle con motore diesel trovano più difficoltà delle altre a rispettarli, questi limiti.
Anche il nostro Paese ha fatto molto, come documenta Carla Ancona. Ma non abbastanza portare l’inquinamento locale sotto i limiti europei. Per questo la Commissione di Bruxelles minaccia un giorno sì e l’altro pure di deferirci alla Corte di Giustizia dell’Unione. In Italia si è meno esposti all’inquinamento da ossido di azoto a da particelle sottili che nel 2005, ma si continua a morire in maniera inaccettabile ed evitabile.
Poiché la maggior parte dei morti si registra in ambiente urbano, il bando delle auto più inquinanti, le diesel, è un passaggio non risolutivo, ma certo necessario.
Il secondo tipo di inquinamento, non è locale, ma globale. Non riguarda la salute umana – non in maniera diretta, almeno – ma i cambiamenti climatici a scala planetaria. La principale fonte antropica di alterazione del clima è un gas, l’anidride carbonica, prodotta dall’uso dei combustibili fossili: carbone, petrolio, metano. Il settore traffico è responsabile di un terzo delle emissioni. Per questo tanto gli esperti quanto le istituzione politiche che cercano di prevenirli, i cambiamenti climatici, pensano al totale phase out dei combustibili fossili entro il 2050 o non molto oltre. E quindi pensano ad auto che si muovono con una diversa alimentazione.
Anche per questa ragione, dunque, non c’è dubbio alcuno: in tempi rapidi le auto diesel, che bruciano combustibili fossili, vanno messe al bando. E non solo in città.
Resta il problema di come sostituirle. La risposta alla moda, lo abbiamo detto, ora è: con le auto elettriche. Già, ma è la risposta giusta? Dipende. I fattori in gioco sono tre. E le elettriche, per ora, ne superano uno solo, anche se sono potenzialmente in grado di superare pure gli altri due.
Il primo fattore riguarda l’inquinamento locale: da ossidi di azoto e da particelle sottili, in ambiente urbano. Aggiungeteci pure il rumore, un fattore inquinante locale troppo spesso ignorato. Non c’è dubbio alcuno: con i motori elettrici tutte queste tre forme di inquinamento vengono radicalmente abbattuti. Il che significa che molti decessi evitabili potrebbero essere, per l’appunto, evitati.
Ma … c’è un ma. Anzi, un doppio, ma. E riguarda la produzione di elettricità. Come e dove la ricaviamo l’energia elettrica per alimentare le auto, appunto, elettriche? Allo stato attuale, la ricaviamo soprattutto da centrali a combustibili fossili: centrali a metano, a petrolio o addirittura a carbone.
Se cambiassimo per intero il parco macchine attuale con uno completamente elettrico, non faremmo altro che trasportare una parte notevole dell’inquinamento dalle città (cosa buona e giusta) fuori dalle città, dove insistono le centrali (cosa né buona né giusta). Dunque, la soluzione del problema inquinamento locale sarebbe sì importante, ma comunque parziale.
Quanto all’inquinamento globale, il problema resterebbe del tutto irrisolto. Perché l’anidride carbonica va nella stratosfera e circola liberamente intorno al mondo. Dunque per i cambiamenti del clima la fonte: sia essa la città o una centrale in periferia, è del tutto indifferente.
Allo stato attuale le auto elettriche danno poco o nulla aiuto alla lotta ai cambiamenti del clima. Prova ne sia il recente rapporto, “Comparative Environmental Life Cycle Assessment of Conventional and Electric Vehicles”, pubblicato sul Journal of Industrial Ecology secondo cui allo stato attuale e considerando l’intero ciclo di vita di un’automobile, solo in sei paesi – Francia, Svezia, Islanda, Paraguay e Brasile – oggi è ecologicamente vantaggioso, per il contrasto ai cambiamenti del clima, usare auto elettriche, grazie a emissioni contenute entro i 90 grammi di anidride carbonica per chilometro. In Italia, dove le auto elettriche emettono 170 grammi del gas serra per chilometro, non c’è sostanziale differenza. Mentre in Cina (258 g/km) o in India (370 g/km) sono addirittura controproducenti. Per una ragione molto semplice, in Cina la maggior parte della produzione di energia elettrica è ancora dovuta a centrali a carbone, la peggiore fonte dal punto di vista dei cambiamenti climatici. In Cina come in India, dunque, l’introduzione delle auto elettriche può contribuire a disinquinare un po’ le città, ma non tanto il Paese nel suo complesso e, ancor meno, può aiutare il Dragone nella prevenzione dell’effetto serra planetario.
Ecco perché i sindaci di Parigi, Atene, Madrid, Città del Messico, Roma e i loro colleghi tedeschi cui la corte costituzionale ha affidato nuove responsabilità possono meritoriamente a mettere al bando le auto diesel. Ma perché la scelta abbia un significato reale e globale, i governi devono effettuare a loro volta una scelta precisa. Anzi, due.
La prima riguarda la produzione di energia elettrica. Bisogna mettere progressivamente al bando le centrali a combustibili fossili e impiantare nuove centrali, non necessariamente mastodontiche (anzi) a energia rinnovabile: solare, eolica, mareale o, con molti limiti, a biomasse. Ma ogni fonte energetica richiede un prezzo, piccolo o grande che sia.
E allora ecco la seconda scelta che dovrebbero compiere i governi, la migliore e la più efficace: promuovere la riduzione del parco auto. Se tutti i 7,5 miliardi di abitanti della Terra volessero e si dotassero di un’auto, fosse anche elettrica, i problemi ecologici – e non solo ecologici – sarebbero enormi. Occorre trovare un’alternativa all’auto per spostarsi. E questa alternativa non può che essere quella di sviluppare il servizio pubblico di trasporto.