La cover story di Left n. 12 del 23 marzo si apre con un'intervista al sociologo Stefano Allievi di Federico Tulli
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Nel 2018 si celebrano i 70 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo con mostre, convegni, dibattiti e festival dei diritti umani, che toccheranno l’acme il 10 dicembre. Ma molti Paesi che hanno sottoscritto il testo approvato nel 1948 dall’assemblea generale delle Nazioni unite oggi sembrano non “ricordare”. O peggio ancora. Fin dalla rivoluzione francese, l’Europa si auto descrive come la culla di una cultura giuridica illuminata, ma nella prassi politica oggi si comporta in maniera opposta, negando ai migranti e ai profughi quegli stessi principi di cui si proclamata sostenitrice all’uscita dalla guerra. In questo quadro, emblematico è il caso Italia.
Non è bastata la legge Bossi Fini che ha chiuso ai migranti ogni canale legale di accesso al nostro Paese, lasciando solo uno stretto pertugio per i motivi umanitari. Ora il nostro Paese criminalizza le ong, sequestra le navi che soccorrono i naufraghi e promuove respingimenti collettivi (vietati dalla Convenzione europea dei diritti umani) facendo accordi con la guardia costiera libica che rinchiude i migranti in lager dove i diritti umani non esistono. Con il plauso di Bruxelles. Il sogno di una Europa unita è naufragato in una unione di mercati, dove le merci possono circolare liberamente ma non altrettanto le persone.
Di questo abbiamo parlato a Left on air – il podcast di approfondimento del nostro settimanale – col professor Stefano Allievi, sociologo dell’università di Padova e autore di numerosi saggi sul tema dei migranti compreso l’ultimo uscito per Laterza: Immigrazione. Cambiare tutto.
Buon ascolto.