«La decisione del gip di Ragusa di dissequestrare la nave della ong Proactiva Open arms rappresenta una smentita della teoria di Zuccaro». A sostenerlo, il giurista, professore e attivista per i diritti dei migranti Fulvio Vassallo Paleologo, intervistato da Left. Nell’aprile dell’anno scorso, il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro aveva accusato alcune ong impegnate nel salvataggio dei migranti nel mar Mediterraneo di essere finanziate direttamente dai trafficanti di esseri umani.
Il giudice per le indagini preliminari di Ragusa, Giovanni Giampiccolo, nel disporre il dissequestro della nave della ong spagnola, ha specificato che, nonostante «le condotte contestate si risolvono in una disobbedienza alle direttive impartite dalle autorità preposte al coordinamento dei soccorsi», l’equipaggio della nave è stato giustificato in quanto ha agito per «necessità». «Le operazioni di ricerca e soccorso – continua il decreto di rigetto del sequestro – non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro come previsto dalla convenzione siglata ad Amburgo nel 1979». Il gip ha poi specificato che si tratta di «luogo sicuro», quello «dove la vita delle persone soccorse non è più minacciata e dove è possibile fare fronte ai loro bisogni fondamentali, come cibo, riparo e cure sanitarie», e conclude specificando che «secondo informazioni disponibili, in Libia avvengono ancora gravi violazioni dei diritti umani».
Professore, cosa pensa di questa ultima svolta nelle indagini?
Questa decisione del gip di Ragusa smentisce non solo quanto diceva Zuccaro, ma chiarisce anche due ulteriori aspetti della vicenda. Innanzitutto, la Libia non è un porto sicuro di arrivo per i migranti. E, in secondo luogo, Malta non era disposta ad accettare sbarchi.
Rimane però aperta tutta la questione della gestione del soccorso in mare, che va ben oltre il singolo processo. Sia nelle carte del gip di Catania che in quelle del suo omologo di Ragusa, si sottolinea l’esistenza di una forte sinergia tra la Marina militare italiana e la Guardia costiera libica, con lo scopo di intercettare le barche dei migranti che lasciano le coste del Paese nord africano. L’Italia è presente nel Mediterraneo con diverse navi dotate di elicotteri di monitoraggio, che sono spesso i primi ad avvistare navi in difficoltà. Una volta avvistata un’imbarcazione in pericolo, la nave italiana ne comunica la posizione alla centrale della Guardia costiera italiana, che a sua volta informa i libici.
La cosa preoccupante è che i libici non hanno modo di portare avanti operazioni di soccorso autonomamente, le loro imbarcazioni non sono dotate neanche di salvagente, ma allo stesso tempo le motovedette libiche hanno la pretesa e l’arroganza di impedire alle ong di soccorrere i migranti, anche quando queste ultime si trovano più vicine alle imbarcazioni in pericolo.
Ad ogni modo bisogna approfondire la natura dei rapporti tra Italia e Libia, così da evitare che l’indagine si allarghi, Zuccaro ancora ipotizza reati associativi tra ong e trafficanti. Inoltre, bisogna fare chiarezza sul funzionamento della catena di comando che coordina i soccorsi, per evitare che ritardi nelle operazioni di salvataggio possano causare delle morti.
In base a quale principio la Libia pretende di intercettare le navi dei migranti, a scapito delle ong, quando non è neanche in grado di farlo da sola?
La Libia aveva fatto richiesta di potersi dotare di una zona Sar (area di ricerca e soccorso, ndr), ma è stata costretta a ritirare la sua richiesta in quanto non poteva soddisfare i requisiti imposti dall’Imo (Organizzazione marittima internazionale), che affida la possibilità di controllare le proprie coste ai governi centrali.
Quando si parla di Libia, infatti, ci si riferisce di solito al governo di Tripoli di Al-Sarraj, riconosciuto a livello internazionale, il quale però controlla solo una minima parte delle coste. È quindi inaccettabile che i libici si comportino come se avessero l’autorità per impedire alle navi delle ong di compiere operazioni di soccorso. Ancora più grave è il fatto che l’Italia aiuti la Libia in questo suo proposito. Questa collaborazione tra Libia e Italia implica un respingimento collettivo “di fatto”. Sottolineo “di fatto” perché un respingimento si configura come tale, per le norme vigenti, quando un gruppo di migranti viene caricato su una nave italiana e riportato fisicamente al porto libico di partenza. Nella situazione attuale, il respingimento viene delegato a motovedette libiche. Ci tengo a ricordare che già nel 2012 la Corte europea ci aveva condannato per respingimenti di migranti, una sentenza che nella pratica l’Italia è riuscita ad aggirare.
Che interessi ci sono dietro questo coordinamento tra Italia e Libia?
Principalmente interessi economici. Tutta la politica italiana sul fronte migranti si è incentrata sugli accordi del febbraio 2017 stipulati tra il governo italiano e Sarraj. Abbiamo molti interessi economici in Libia, ci sono ditte italiane che operano sul territorio, ci sono piattaforme petrolifere dell’Eni tra la Sicilia e il nord dell’Africa e quindi Roma ha interesse a mantenere un canale privilegiato con il governo di Tripoli, mentre abbiamo un rapporto più altalenante con il governo di Haftar. Bisognerebbe cercare un accordo che comprenda anche gli altri attori presenti sul territorio libico.
Come sono cambiate le missioni di soccorso nel mare, da Mare Nostrum ad oggi?
Mare Nostrum viene lanciata nel 2014 e termina nel 2015 con l’intervento di Frontex, l’agenzia europea per la difesa delle frontiere. Durante i primi tempi in cui si è svolta la missione di Frontex, c’è stato un aumento esponenziale dei morti in mare, culminati nella strage del 18 aprile 2015 con circa 800 dispersi a sud di Malta. A quel punto il Consiglio europeo aumenta la portata dell’operazione di Frontex, allungando il raggio d’azione delle navi di soccorso fino a 135 miglia marine a largo della costa italiana, e alcuni natanti arrivano fin dentro le acque territoriali libiche. Un anno dopo il suo lancio, l’Ue ha ridotto le navi impiegate nell’operazione, è a quel punto che entrano in gioco le Ong per rimediare al calo dei soccorsi in mare.
Oggi, l’Ue e l’Italia stanno portando avanti una politica omicida: per salvaguardare le proprie frontiere e ridurre gli arrivi, hanno accettato che le persone vengano trattenute a tempo indeterminato in luoghi dove sono sistematicamente violati i diritti umani, cioè i campi di prigionia libici, fatto che viene riconosciuto anche dal gip di Ragusa.