L’Afghanistan è il Paese dove “la morte fa parte del mestiere” e il giornalismo si paga con la vita. Due attentati il 30 aprile a Kabul hanno ucciso almeno 40 persone: tra loro c’erano nove giornalisti, arrivati per raccontare della prima esplosione nel distretto di Shash Darak, nei dintorni del quartiere generale Nato e dell’ambasciata americana. Quando i reporter hanno raggiunto il sito del primo attacco, c’è stato il secondo attentato. Quello in Afghanistan, – uno dei Paesi al mondo più pericolosi per la stampa -, adesso è diventato il più sanguinoso attacco contro i media dal conflitto con i talebani nel 2001, secondo Reporters without Borders.
In lutto è il team dell’AFP, – tra i nove reporter uccisi c’era il fotografo dell’agenzia fotografica francese Shah Marai -, e Radio Free Europe, che ha perso ieri tre reporter.
“La morte è ovunque. Non puoi sapere dove o quando colpirà. Ho dovuto far tacere la paura nel mio cuore, la morte fa parte del lavoro, della mia vita professionale. Devo continuare a lavorare, non posso smettere di pensare a quello che succede qui, anche se sono in pericolo” ha detto Zakarya Hassani, 27 anni e una macchina fotografica in mano. Hassani lavora per il canale 1-TV, che ha perso un cameraman e un reporter nell’attentato di Kabul.
Il redattore capo del giornale Zainab, Parwiz Kawa, ha detto che il giornalismo nazionale si basa “sull’impegno dei media afghani, composti per lo più da giovani istruiti che pensano di avere una responsabilità sociale per dover continuare ad informare”. E continueranno a farlo, nonostante tutto.
Il giorno dopo a Kabul qualcuno si arrende e qualcuno resiste. Ahmad Farid Halimi, che lavora per l’agenzia Kabul News da tre anni, ha deciso di rassegnare le sue dimissioni dopo il sangue versato dai suoi colleghi.
“Ieri i media afghani hanno mostrato la loro resilienza” ha detto Lotfullah Najafizada, meno di 30 anni, reporter di Tolo News. Il suo cameraman è morto nell’attentato di ieri. “Più di 50 redattori e giornalisti si sono riuniti ieri a poche ore dall’attentato, sul sito del secondo attacco”. Perché il messaggio che i giornalisti afgani volevano dare ai terroristi islamici era questo: “se uccidete un gruppo di giornalisti, ne arriverà un altro subito dopo, ancora più numeroso”.