L’Africa nuova terra di conquista. Quel che non riuscì all’Italia coloniale avviene oggi tramite grandi aziende come Eni e Impregilo. Al centro di ricchi affari nel campo energetico e delle infrastrutture. Con quali ricadute sulla vita delle popolazioni locali?

A distanza di quasi un secolo dalle mire imperiali di Mussolini, l’Italia ha iniziato a guardare di nuovo con crescente interesse l’immenso continente che s’apre appena al di là del Mediterraneo. Rispetto all’Africa di fine anni Venti, soggiogata e depredata delle sue immense ricchezze naturali dalle potenze coloniali occidentali, quella di oggi in diversi Paesi (vedi box a pag. 15, ndr) è riuscita a fare passi in avanti, seppur timidi e arrancanti, verso una stabilità politica diffusa che, usando parametri occidentali, ha contribuito a un convincente incremento complessivo del Pil e una sostanziale crescita economica sul lungo termine.

Certo, numerosi conflitti più o meno dimenticati sono ancora in corso, nel corno d’Africa, nei Paesi del sub Sahara occidentale, solo per citarne alcuni. Guerre nate per lo più come scontri locali, etnici-tribali e per l’accesso alle risorse, che con il passare del tempo hanno assunto un carattere sempre più internazionale a causa del coinvolgimento militare di Paesi occidentali (es. Francia in Mali). Ma accanto al florido mercato delle armi che ruota intorno a questi conflitti e arricchisce i grandi produttori, Italia compresa, c’è quello altrettanto appetitoso della ricostruzione, delle infrastrutture, oltre che delle immense risorse naturali a cominciare dagli idrocarburi fossili. Tutto questo spinge ora, come un tempo, l’Occidente e le nuove potenze (Cina in testa) a riconsiderare il continente come un enorme potenziale forziere cui attingere e da sfruttare che senza soluzione di continuità si sviluppa dalle coste del Mediterraneo fino a capo Agulhas.

Stando ai dati del 2016, è proprio il nostro Paese, a guidare la classifica europea per valore degli investimenti diretti esteri (Ide), con un totale di 20 maxi-progetti per…

L’articolo di Dino Buonaiuto prosegue su Left in edicola


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