Le ong rimaste nel Mediterraneo a soccorrere i profughi devono fare i conti ogni giorno con il disinteresse totale della marina libica per le norme internazionali. «Riportare i profughi in Africa viola il principio di non respingimento» spiega Maurice Stierl di Watch the med

Non c’è settimana, forse giorno, in cui dovremmo smettere di parlarne: la Libia, da diversi anni ormai, non è un Paese stabile né sicuro in molte parti del suo territorio. Non lo è per i suoi abitanti, sotto scacco spesso delle milizie, a colpi di armi da fuoco, fortemente provati da divieti, sparizioni, violenze sessuali (sia su uomini che su donne), ricatti e check-point; in particolare poi per attivisti, giornalisti, avvocati libici. Non a caso, da oltre sei mesi, si è registrata tra i migranti in mare anche una presenza di cittadini libici in cerca di sicurezza, cure mediche o di un futuro più sereno. Non lo è per uomini, donne, bambini che attraversano la Libia per pochi giorni, settimane, ma a volte ci rimangono a lavorare mesi o anni, con in testa il progetto più grande di raggiungere un luogo sicuro, in Europa, lontano da quelle coste.

«Dovremmo innanzitutto partire dal presupposto che politicamente e strutturalmente in questo momento non esiste un’unica Libia», afferma Fulvio Vassallo Paleologo, giurista ed attivista per i diritti dei migranti. «Vi sono sfollati interni, dunque libici che fuggono da una zona all’altra; vi sono migranti in transito che lavorano in Libia, in condizioni di semi-schiavitù; ed infine, le persone più vulnerabili, sono sempre migranti, ma in mano ai trafficanti in transito e che cercano di lasciare la Libia prima possibile».

Uomini e donne, spesso con i loro figli, che viaggiano partendo da diverse aree africane o asiatiche, continuando a fuggire da precarietà economica, instabilità politica, terrore dittatoriale, diversi tipi di povertà, si ritrovano in Libia vittime di una violenza inaudita. La Libia è stata per lungo tempo un Paese di immigrazione e dunque molti lavoratori di nazionalità bengalese, pakistana, indiana vi hanno lavorato degli anni, anche con degli introiti dignitosi. Ma le condizioni di minaccia ed insicurezza permanenti, oltre al peggioramento della situazione economica, induce anche loro a guardare all’Europa.

Nell’aprile 2018, sono circa duemila le persone che sono riuscite a fuggire dalla Libia e raggiungere l’Italia. Lo scorso anno, nello stesso periodo, ne sono giunte 13.000. Gli accordi del febbraio 2017 tra governo italiano e governo a Tripoli di Sarraj avevano l’obiettivo di diminuire il numero delle persone che giungono sulle coste italiane. Ma una cosa sia chiara…

L’inchiesta di Marta Bellingreri prosegue su Left in edicola


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