Cori da stadio, «fuori la mafia dallo Stato» scandivano ieri i senatori del Movimento 5 stelle a palazzo Madama mentre Giuseppe Conte declamava il suo discorso prima della fiducia. Che in Parlamento il partito che governa gridi gli stessi slogan di quelli che manifestano contro il potere è già roba da Grande fratello: conta solo come ti vedono da casa.
Qualcuno dice che l’importante per un presidente del Consiglio è scagliarsi contro le mafie fin dall’esordio in Parlamento. Bene, leggete qua: «Ci aspettano tre anni di lavoro. Tre anni nei quali, uscendo via via dalla crisi, attueremo le grandi riforme. Le riforme istituzionali, dalla riduzione del numero dei parlamentari, all’elezione diretta del premier o del presidente della Repubblica; la grande, grande, grande riforma della giustizia; la profonda riforma e l’ammodernamento del sistema fiscale, […]. Continueremo con la stessa determinazione la lotta contro la mafia e la criminalità organizzata. Vogliamo dare più sicurezza per i cittadini, vogliamo arrivare ad avere meno tasse, meno burocrazia, più infrastrutture e più verde». Se non avete buona memoria, vi aiuto: è Silvio Berlusconi, discorso al Parlamento del maggio 2010. Tanto per dirci quanto valgano le parole. Brividi, eh?
Il 6 giugno, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha pensato bene (furbescamente convinto che basti un po’ di cerchiobottismo retorico per accontentare un po’ tutti) di esprimere solidarietà al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per gli infamanti attacchi ricevuti nei giorni scorsi che hanno violentato anche la memoria del fratello Piersanti, ammazzato dalla mafia. Piersanti Mattarella (che sta alla storia dell’antimafia come i verbi essere e avere stanno allo studio della lingua italiana) nel discorso presidenziale è diventato un congiunto con tanto di «adesso non ricordo esattamente». Alcuni dicono che quel «non ricordo esattamente» (detto da uno che ha uno stuolo di assistenti per redigere il discorso, oltre ai suoi due prodi scudieri Di Maio e Salvini) si riferisse all’ignoranza del «social su cui sono avvenuti gli attacchi e non sul nome di Piersanti»: la toppa è peggio del buco. Ma ciò che conta è che tutta questa antimafia esibita come un finto centurione pronto a spennarti davanti al Colosseo è stata sventolata con quel Salvini che di Berlusconi è stato fino a ieri il cavalier servente e con un contratto co-firmato da quella Lega dell’ex tesoriere Belsito, così affiatato con uomini della ‘ndrangheta calabrese, senza ricordare i referenti salviniani che in Sicilia sono appena stati arrestati e indagati per voto di scambio.
Interviene sdegnato a correggere Conte un Delrio, capogruppo del PD alla Camera, in gran forma che scandisce piccato il nome di Piersanti Mattarella con tanto di applauso generale. Come ha (giustamente) sottolineato il capogruppo a Montecitorio del Movimento 5 stelle Francesco D’Uva, l’ammonimento «viene da chi, sotto interrogatorio, non ricordava nemmeno che i Grande Aracri fossero di Cutro: eppure ci andava a Cutro a fare la processione…» (ne avevamo scritto su Left qui).
Così anche ieri si è assestato un altro importante colpo contro la mafia. Avanti così.
Buon giovedì.