Da alcuni mesi abbiamo iniziato un viaggio nella sinistra europea. Lungo questo percorso a tappe qualche settimana fa abbiamo dedicato la storia di copertina al Portogallo addentrandoci nel laboratorio lusitano per cercare di mettere a fuoco i punti alti di avanzamento progressista e gli scogli che incontra il governo guidato da una alleanza di sinistra di cui fanno parte socialisti, comunisti, verdi e il Bloco de esquerda. Il governo progressista portoghese è un unicum in Europa anche perché, in barba all’avanzata delle destre in Europa, va avanti dal 2015. Ora, mentre in Italia il governo legastellato accelera a destra, in cerca di respiro e per organizzare l’opposizione, siamo tornati a guardare oltre confine. Il viaggio di Left nella sinistra europea arriva così in Spagna per conoscere più da vicino l’esperimento di governo socialista guidato dall’economista Pedro Sànchez che dal 1993 milita nel Psoe (Partito socialista operaio spagnolo) di cui, fra alterne vicende, è segretario generale. Un esperimento di governo laico e progressista nato da una svolta repentina. Con un colpo di reni, per molti inaspettato: lanciando una mozione di censura, Sànchez è riuscito a far cacciare il conservatore Rajoy insediandosi al suo posto. Per la prima volta in quarant’anni di democrazia spagnola un capo di governo ha dovuto lasciare dopo una mozione di sfiducia (tre tentativi del genere si erano già conclusi con un fallimento). Come ci è riuscito Pedro Sànchez? Molto hanno contato gli esiti del processo sul caso “Gürtel” uno dei tanti scandali di corruzione che ha coinvolto il Pp (Partito popolare spagnolo) negli ultimi anni, che è arrivato a sentenza con 351 anni di carcere in totale per 29 dei 37 imputati, condannati per aver partecipato a una «struttura di corruzione istituzionale». Per Sànchez è stata la rivincità dell’onestà e della coerenza (in questo caso non parole al vento). In tanti lo avevano dato politicamente per morto dopo che, in dissenso con i suoi, nel 2016 si era dimesso da parlamentare, rifiutandosi di dare il via libera al secondo governo Rajoy (in carica dal 31 ottobre 2016 al 2 giugno 2018). Senza uscire dal partito e lavorando in stretto contatto con la base, guardando a sinistra e alla tradizione antifascista, Sànchez è riuscito, non solo a riprendersi il Psoe, ma anche ad andare al governo, affermando fin dal primo momento la propria identità laica e progressista. «Sono ateo e credo che la religione non debba stare nelle aule, ma nelle Chiese. Nelle aule si devono formare cittadini, non credenti. Questo appartiene alla sfera privata», ha detto il neo premier che ha giurato sulla Costituzione e non sulla Bibbia. Decisione storica quella di liberare il palazzo di governo dai crocefissi e carica di significati nella cattolicissima Spagna, dove la società oggi appare largamente secolarizzata. Assumendo l’incarico e presentando la squadra dei ministri Sànchez ha anche riaffermato con fermezza la centralità delle battaglie dalla parte delle donne. Undici ministri su 17 sono donne. Per prima cosa ha ripristinato il ministero dell’Igualdad (istituito da Zapatero e poi accorpato da Rajoy) affidandolo al vice presidente dell’esecutivo Carmen Calvo. Ma ha anche incluso nella rosa dei ministri María Jesús Montero che, alla guida del dicastero della Salute nella regione autonoma dell’Andalusia, ha saputo farne un avamposto all’avanguardia nella fecondazione assistita, nella ricerca sulle staminali embrionali e più in generale un baluardo della libertà di ricerca scientifica. La Spagna non può dirsi uno Stato democratico se non coglie l’importanza delle donne, se non ne afferma i diritti, dice Sànchez. Così come non può dirsi un Paese civile se non libera i bambini dalla povertà. In Spagna è una grave emergenza da risolvere. I primi provvedimenti del governo, ha promesso il nuovo primo ministro, andranno in questa direzione. È un importante inizio ma certo non basta. Il governo Sànchez è fragile. Incalzato dall’opposizione dei liberali nazionalisti di Ciudadanos (Cittadini) guidati da Albert Rivera, alter ego di Macron (ad entrambi guarda Renzi). inoltre Sànchez deve molto a Iglesias, leader di Podemos che ha appoggiato la sua mozione di sfiducia a Rajoy (insieme agli indipendentisti) e ora giustamente reclama un ruolo per il proprio partito. Per Sànchez le grane non mancheranno anche sul versante catalano, ma il dado è tratto, la strada per il cambiamento è finalmente aperta. Speriamo sia anche contagiosa. Intanto salutiamo con gioia la decisione di Sànchez di accogliere nel porto di Valencia i migranti della nave Aquarius che il governo italiano giallonero, con il ministro dell'Interno Salvino, avrebbe lasciato andare alla deriva. [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola

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Da alcuni mesi abbiamo iniziato un viaggio nella sinistra europea. Lungo questo percorso a tappe qualche settimana fa abbiamo dedicato la storia di copertina al Portogallo addentrandoci nel laboratorio lusitano per cercare di mettere a fuoco i punti alti di avanzamento progressista e gli scogli che incontra il governo guidato da una alleanza di sinistra di cui fanno parte socialisti, comunisti, verdi e il Bloco de esquerda. Il governo progressista portoghese è un unicum in Europa anche perché, in barba all’avanzata delle destre in Europa, va avanti dal 2015. Ora, mentre in Italia il governo legastellato accelera a destra, in cerca di respiro e per organizzare l’opposizione, siamo tornati a guardare oltre confine.

Il viaggio di Left nella sinistra europea arriva così in Spagna per conoscere più da vicino l’esperimento di governo socialista guidato dall’economista Pedro Sànchez che dal 1993 milita nel Psoe (Partito socialista operaio spagnolo) di cui, fra alterne vicende, è segretario generale. Un esperimento di governo laico e progressista nato da una svolta repentina. Con un colpo di reni, per molti inaspettato: lanciando una mozione di censura, Sànchez è riuscito a far cacciare il conservatore Rajoy insediandosi al suo posto. Per la prima volta in quarant’anni di democrazia spagnola un capo di governo ha dovuto lasciare dopo una mozione di sfiducia (tre tentativi del genere si erano già conclusi con un fallimento). Come ci è riuscito Pedro Sànchez? Molto hanno contato gli esiti del processo sul caso “Gürtel” uno dei tanti scandali di corruzione che ha coinvolto il Pp (Partito popolare spagnolo) negli ultimi anni, che è arrivato a sentenza con 351 anni di carcere in totale per 29 dei 37 imputati, condannati per aver partecipato a una «struttura di corruzione istituzionale».

Per Sànchez è stata la rivincità dell’onestà e della coerenza (in questo caso non parole al vento). In tanti lo avevano dato politicamente per morto dopo che, in dissenso con i suoi, nel 2016 si era dimesso da parlamentare, rifiutandosi di dare il via libera al secondo governo Rajoy (in carica dal 31 ottobre 2016 al 2 giugno 2018). Senza uscire dal partito e lavorando in stretto contatto con la base, guardando a sinistra e alla tradizione antifascista, Sànchez è riuscito, non solo a riprendersi il Psoe, ma anche ad andare al governo, affermando fin dal primo momento la propria identità laica e progressista. «Sono ateo e credo che la religione non debba stare nelle aule, ma nelle Chiese. Nelle aule si devono formare cittadini, non credenti. Questo appartiene alla sfera privata», ha detto il neo premier che ha giurato sulla Costituzione e non sulla Bibbia. Decisione storica quella di liberare il palazzo di governo dai crocefissi e carica di significati nella cattolicissima Spagna, dove la società oggi appare largamente secolarizzata.

Assumendo l’incarico e presentando la squadra dei ministri Sànchez ha anche riaffermato con fermezza la centralità delle battaglie dalla parte delle donne. Undici ministri su 17 sono donne. Per prima cosa ha ripristinato il ministero dell’Igualdad (istituito da Zapatero e poi accorpato da Rajoy) affidandolo al vice presidente dell’esecutivo Carmen Calvo. Ma ha anche incluso nella rosa dei ministri María Jesús Montero che, alla guida del dicastero della Salute nella regione autonoma dell’Andalusia, ha saputo farne un avamposto all’avanguardia nella fecondazione assistita, nella ricerca sulle staminali embrionali e più in generale un baluardo della libertà di ricerca scientifica. La Spagna non può dirsi uno Stato democratico se non coglie l’importanza delle donne, se non ne afferma i diritti, dice Sànchez. Così come non può dirsi un Paese civile se non libera i bambini dalla povertà. In Spagna è una grave emergenza da risolvere. I primi provvedimenti del governo, ha promesso il nuovo primo ministro, andranno in questa direzione. È un importante inizio ma certo non basta. Il governo Sànchez è fragile. Incalzato dall’opposizione dei liberali nazionalisti di Ciudadanos (Cittadini) guidati da Albert Rivera, alter ego di Macron (ad entrambi guarda Renzi). inoltre Sànchez deve molto a Iglesias, leader di Podemos che ha appoggiato la sua mozione di sfiducia a Rajoy (insieme agli indipendentisti) e ora giustamente reclama un ruolo per il proprio partito. Per Sànchez le grane non mancheranno anche sul versante catalano, ma il dado è tratto, la strada per il cambiamento è finalmente aperta. Speriamo sia anche contagiosa. Intanto salutiamo con gioia la decisione di Sànchez di accogliere nel porto di Valencia i migranti della nave Aquarius che il governo italiano giallonero, con il ministro dell’Interno Salvino, avrebbe lasciato andare alla deriva.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola


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