L’austerità, le privatizzazioni, la mercificazione dei servizi sono state imposte ricorrendo a una falsa narrazione. Il debito pubblico esiste ma la trappola consiste nel far credere che sia il problema fondamentale. Per costringere gli italiani ad accettare le politiche liberiste

C’era una volta un popolo che viveva al di sopra delle sue possibilità…». A pensarci bene, quella sul debito è proprio una brutta favola, «una narrazione mortale», dice ad esempio un bancario, Luca Giovanni Piccione, che con Liberi da interessi (Dissensi, 2016) ha provato a spiegare il debito ai bambini e ai loro genitori. «La trappola del debito», tiene a precisare Marco Bersani, saggista, militante di Attac. Perché il debito pubblico è lo strumento con cui da secoli i governi reperiscono risorse per creare investimenti. L’austerità, le privatizzazioni, quel gigantesco trasferimento di ricchezza dal monte salari al monte profitti e rendite, che chiamiamo neoliberismo, sono stati sempre imposti ricorrendo allo storytelling, la narrazione, appunto, per mascherare la «trappola».

Per esempio quella della Welfare Queen dei tempi di Reagan: c’era una volta una disoccupata mantenuta dai sussidi di disoccupazione al volante di una Cadillac mentre degli operai valorosi potevano a stento pagarsi il biglietto dell’autobus. «Cominciò così il grande assalto allo Stato sociale», ricorda Yves Citton nel suo Mitocrazia (Alegre, 2013). Per il debito è iniziata nello stesso periodo, col divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia (12 febbraio 1981) con cui, inseguendo una misura analoga della Fed, la Banca d’Italia smette di essere compratrice di ultima istanza a basso tasso e l’intero ammontare dei buoni deve essere smaltito sul mercato con interessi sempre più alti. Da allora, nonostante il Paese chiuda quasi sempre in avanzo primario (spendendo meno di quello che incassa) il debito continua a crescere. Il rapporto debito/Pil – che s’era conservato stabile dal 1960, sotto il 60% (parametro arbitrario della Ue secondo il quale un Paese sarebbe “sano”) – dal 1981, anno del “divorzio”, schizza al 122%. Oggi è al 131% essendo salito parecchio anche con il governo Monti perché l’austerità deprime il Pil ossia il denominatore di quella banale frazione algebrica su cui si imperniano le politiche della Ue.

«Ogni volta che serve uno choc o anche solo un po’ di spavento ecco che rispunta la trappola del debito: il teatrino di questi giorni è emblematico – spiega a Left, Bersani – con Mattarella e settori legati alla Bce che hanno provato a drammatizzare la nomina di Savona che, però, è un po’ difficile da arruolare nelle forze antisistema con quel curriculum di incarichi in Bankitalia, Bnl, Unicredit, Impregilo, Luiss, ministro del governo Ciampi o, addirittura vicepresidente dell’Aspen institute (il gotha del capitalismo mondiale – imprenditori, politici, speculatori, giornalisti – tra cui, in Italia, Monti, Tremonti, Prodi, Paolo Mieli ecc…). Lo stesso “piano B” di Savona parla la lingua del neoliberismo: uscita dall’euro, nazionalizzazione della Banca d’Italia e, per rimettere a posto i conti, privatizzazioni e svendite del patrimonio pubblico».

«Naturalmente il debito pubblico esiste. L’invenzione, o la trappola, consiste nel…

L’articolo di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola


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