«Bisogna superare l’idea di aiuto specifico per il migrante» dice il sociologo dell'università di Padova Stefano Allievi. «Va aiutato in quanto persona in difficoltà al pari di altre che vivono situazioni di disagio». Altrimenti si crea un cortocircuito e viene percepito dalle classi deboli come un usurpatore

Segen era eritreo, aveva 22 anni e l’11 marzo è morto di fame poco dopo essere sbarcato nel porto di Pozzallo in Sicilia insieme ad altri 90 migranti recuperati in mare dalla nave della ong spagnola Proactiva open arms, una delle poche rimaste a soccorrere i migranti al largo delle coste della Libia. Secondo le testimonianze raccolte durante il salvataggio, il giovane in fuga dalla dittatura sanguinaria di Afewerki era stato segregato per 19 mesi in un lager libico. I medici dell’ospedale di Modica dove è stato trasportato d’urgenza non hanno potuto far nulla contro le conseguenze della malnutrizione che ne aveva compromesso irrimediabilmente lo stato psicofisico.

Benoît Duclos è una guida alpina e fa parte dei volontari di Refuge solidaire, un gruppo che da mesi opera sul confine italo-francese per soccorrere i migranti che, respinti a Ventimiglia dalla polizia di Macron, provano ad entrare in Francia attraverso le Alpi piemontesi. Il 10 marzo è stato bloccato dai gendarmi in territorio francese mentre correva in auto verso un ospedale per consentire a una donna nigeriana in preda alle doglie di partorire. L’aveva soccorsa poco prima insieme ai suoi due figli di due e quattro anni mentre arrancavano in mezzo alla neve a 1900 metri di quota. Inflessibili, i poliziotti hanno impedito a Duclos di proseguire e la donna ha partorito in macchina. Il 14 marzo alla guida alpina è stato contestato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Rischia 5 anni di carcere.

Sono solo alcune tra le ultime notizie di questo tipo in un 2018 che si concluderà, il 10 dicembre prossimo, con le celebrazioni dei 70 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Sintomi di un fallimento sul fronte “umanitario” da parte di Paesi fondatori di quell’Europa che da sempre si proclama culla della civiltà e paladina dei diritti umani anche in nome del motto “liberté, egalité, fraternité” che ispira la Dichiarazione Onu. Un motto “rivoluzionario” che evidentemente rispetto ai migranti è stato ormai messo fra parentesi. E quanto al nostro Paese, considerando la vittoria elettorale di formazioni nazionaliste come il Movimento 5 stelle e xenofobe come la Lega di Salvini, difficilmente assisteremo a breve a una inversione di tendenza. Per cercare di capire come siamo arrivati a questo punto e per individuare delle soluzioni ci siamo rivolti a Stefano Allievi, docente di Sociologia e direttore del Master sull’Islam in Europa presso l’Università di Padova, autore di numerosi saggi sul tema, compreso l’ultimo da poco uscito per Laterza, Immigrazione. Cambiare tutto.

«Partirei da una semplice osservazione. Fino al 4 marzo le discussioni politiche e le prime pagine dei giornali erano occupate ossessivamente dai problemi collegati all’immigrazione. I partiti – con in testa quelli che hanno vinto le elezioni – sono stati una fonte continua di slogan aggressivi, “soluzioni definitive” o spacciate come tali». Dal 5 marzo, invece, più nulla per quasi due mesi. (Fino all’insediamento del governo Conte-Salvini-Di Maio e alla crisi Aquarius – l’intervista è precedente, ndr). «L’immigrazione – prosegue Allievi – è scomparsa dai radar della politica e dall’orizzonte mediatico, nonostante le notizie, anche di rilievo, non mancassero. Eppure proprio questo argomento è stato decisivo nello spostare una grande massa di voti», dal centro sinistra verso destra. Secondo lo studioso, che da decenni si occupa di migrazioni in Europa, il fatto che non se ne sia parlato più dopo il voto è la prova che l’interesse «sta nel sollevare il problema, non nel trovare soluzioni». Perché «quello che succede, in realtà, è che chi più è riuscito a canalizzare le frustrazioni e le proteste, alcune anche fondate, dell’elettorato rispetto alla gestione del fenomeno migratorio, ha interesse a che il problema persista. Tanto il capro espiatorio non vota».

Negli ultimi anni la “sensibilità” degli italiani verso il tema dell’immigrazione è notevolmente cambiata ma ciò non può spiegarsi solo con le sparate di Salvini o i titoli “deliranti” di giornali xenofobi e razzisti. «Questa svolta a destra dell’opinione pubblica è oggetto della mia attenzione in Immigrazione. Cambiare tutto. L’immigrazione è un fenomeno strutturale da decenni. Tuttavia è sempre stato affrontato in termini di emergenza, come fosse un fatto episodico. Ho pensato pertanto che fosse urgente una riflessione critica intellettualmente onesta su tutte le questioni che accompagnano le migrazioni attuali, affrontando quelle più spinose con proposte radicali. In un certo senso mi sono sentito in dovere morale di rispondere alle critiche, alle obiezioni, alle incertezze, alle insicurezze, alle paure di chi sempre più visibilmente è contro le politiche di accoglienza se non contro gli stranieri in generale. E questo accade ormai non più solo nell’elettorato di destra ma anche a sinistra e nel mondo cattolico».

Anche alla luce degli episodi narrati in precedenza, ci si chiede se la vera emergenza sia l’immigrazione o la percezione che si ha del fenomeno. «Accusare le persone di ascoltare solo gli slogan e di negare la realtà è un modo sbagliato di affrontare il problema. Non è solo che alcuni capiscono male. Bisogna avere idea del perché ci sono le migrazioni e cosa succederà in futuro. Abbiamo a disposizione milioni di dati oggettivi, molti li cito nel libro, che ci dicono che gli arrivi di questi ultimi anni sono meno degli arrivi regolari di dieci anni fa ed enormemente meno del fabbisogno italiano ed europeo rispetto, per esempio, al numero di persone che va in pensione e non è sostituito nel mercato del lavoro. Ogni anno, a livello europeo, questo differenziale è pari a -3 milioni. Da qui al 2050, vuol dire 100 milioni di lavoratori in meno, in Italia 10. O ci va bene così – però bisogna sapere quali sono le conseguenze in termini di welfare, di pensioni etc – oppure si inizia a ragionare su come regolamentare gli ingressi di cui peraltro abbiamo bisogno».

Secondo Allievi, la prima cosa da fare è riaprire canali regolari, che oltretutto darebbero una giustificazione politica al blocco di quelli illegali. «È evidente che non si può continuare così. Chiudendo gli ingressi legali l’Europa e l’Italia hanno dato la gestione delle politiche migratorie in mano alla criminalità transnazionale. È come se affidassimo il contrabbando di alcol e sigarette alla mafia e alla camorra». Alcune ong provano ancora a sottrarre i migranti dal giogo dei trafficanti ma il 18 marzo la Proactiva open arms è stata sequestrata dalla procura di Catania nell’ambito di un’inchiesta su uno sbarco di 218 persone avvenuto il 16 marzo a Pozzallo, lo stesso approdo dove cinque giorni prima aveva trasportato Segen e i suoi compagni. Il responsabile della ong e il comandante della nave sono indagati per associazione a delinquere per traffico internazionale di migranti e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La loro presunta colpa è quella di aver prestato soccorso in mare e di non aver consegnato i profughi a una motovedetta di Tripoli. Ai giornali il comandante ha dichiarato che i militari libici hanno minacciato di aprire il fuoco se non gli avessero consegnato i fuggitivi.

«Ciò che il mondo cattolico e il centrosinistra con i suoi decreti non hanno colto è che il problema non è essere pro o contro gli sbarchi» osserva Allievi. «È chiaro che le persone in mare vanno salvate anche perché è reato non farlo, il punto è che non devono essere più costrette a partire in quel modo. Il meccanismo attuale, figlio di politiche europee sbagliate e in Italia della Bossi-Fini, produce arrivi irregolari e una serie di irregolarità a cascata. Che la comunità percepisce come pericolose. La sinistra su questo è silente. I viaggi sono inevitabili e vanno gestiti, non innalzando muri o bloccando i porti ma nell’ottica dello sviluppo e dell’integrazione». In che modo? «Per quanto riguarda i richiedenti asilo, i corridoi umanitari sono un importante esempio di una pratica che funziona, produce integrazione e costa pochissimo». Con questi corridoi il rovesciamento di prospettiva sarebbe totale: «Non si aspetta che arrivino, li si va a prendere nei campi profughi sulla base, ovviamente, di criteri umanitari». Non è l’unico ribaltamento di prospettiva che mette sul tavolo Allievi. «La proposta più forte che faccio nel libro consiste nel superare la distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo. Tutte le persone che emigrano chiedono la stessa cosa: una seconda possibilità, l’opportunità di potersi realizzare laddove nel proprio Paese non è possibile». La migrazione economica è la normalità, oggi invece è considerata un reato. «Siamo stati noi a creare questa stortura con la Bossi-Fini. Avendo chiuso qualsiasi possibilità di accesso regolare in pratica obblighiamo molti dei migranti a mentire per ottenere la protezione umanitaria: l’unico modo per avere il permesso di soggiorno. Se un cittadino del Gabon potesse andare all’ambasciata italiana, chiedere il visto, pagarsi il viaggio di ritorno, cosicché nel caso in cui facesse qualcosa di sbagliato possa ritornare indietro, pagarsi l’assicurazione sanitaria per il periodo in cui è alla ricerca di lavoro, dopo di che se non ce la fa torna indietro, come è sempre successo, tutto quello che è accaduto in questi anni non sarebbe accaduto. Non solo. Ormai possono arrivare, come detto, solo attraverso gli sbarchi gestiti dalla criminalità. È questo che genera il senso di insicurezza profondo nella società. Continuare così non ha senso. Un sistema del genere rischia di produrre effetti devastanti sul tessuto sociale e di sicuro non favorisce l’integrazione».

Un’altra proposta forte di Allievi riguarda la creazione di «meccanismi di welfare universale». «È stato creato un sistema che genera odio nei confronti dei migranti da parte delle classi più disagiate. Prendiamo i famosi 35 euro al giorno che si spendono nei centri di accoglienza. In Italia è un tipo di sussidio che viene ricevuto solo da poche categorie in difficoltà sociale oltre i richiedenti

asilo, tra cui i disabili gravi e raramente anziani non auto sufficienti. Bisogna uscire dall’idea di offerta di aiuto specifica per il migrante. Il richiedente asilo va aiutato in quanto persona in difficoltà al pari di altre persone in difficoltà. Peraltro ci sono già degli esempi positivi in tal senso in alcuni Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati) dove oltre a garantire l’assistenza ai profughi si riesce a produrre occupazione per “italiani”: assistenti sociali, psicologi, insegnanti di italiano, esperti di orientamento al lavoro. Bisogna andare incontro a questo tipo di sofferenza sociale, non fare spallucce come se fosse un argomento della destra. Perché non lo è, semmai è un argomento che si trasforma in un voto a destra». Superando alcune barriere ideologiche secondo Allievi ci sono ancora nonostante tutto dei margini per attuare politiche pragmaticamente ragionevoli.

Ma la vera svolta, conclude, sarebbe predisporre una sorta di Piano Marshall europeo per l’Africa. «Conosciamo tutti i benefici che dopo i disastri della seconda guerra mondiale portò sia all’Europa, che agli Stati Uniti. In pratica ci aiutarono a casa nostra, per dirla come Salvini e Meloni. Il punto è che costò agli americani una somma pari al 10 per cento del bilancio Usa. Sarebbe la soluzione definitiva, un investimento geniale. Tuttavia mi risulta difficile pensare che i leader della destra vadano a dire ai loro elettori: ora il 10 per cento delle vostre tasse sarà speso per gli africani in difficoltà così non vengono più qui».

L’intervista al sociologo Stefano Allievi è stata pubblicata su Left n. 12 del 23 marzo 2018. Per acquistare la versione digitale

 

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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).