Jean-Luc Mélenchon lascia il Partito della Sinistra europea: «A un anno dalle elezioni europee, non è più possibile unire nello stesso partito europeo gli oppositori e gli artigiani dell'austerità». Durante l'ultimo giorno del loro congresso, i delegati francesi del Parti de gauche (Partito della sinistra, Pg) hanno ufficialmente deciso di lasciare il Partito della sinistra europea (Se) con una dichiarazione approvata domenica scorsa con 208 voti, 2 contrari e 3 astensioni. Il Partito della Sinistra europea è stato creato nel 2003, riunisce una trentina di partiti: comunisti, "rosso-verdi", socialisti o democratici di sinistra, di 17 Stati membri dell'Unione europea e 4 Paesi al di fuori. Il Pg è nato alla fine del 2008, aveva formalmente aderito all'Se nel dicembre 2010 al suo terzo congresso, quando il comunista Pierre Laurent aveva preso la presidenza. Alla fine del successivo Congresso, nel 2013, Pg aveva sospeso temporaneamente la sua partecipazione al Se, per protestare contro la riconferma come capo del partito europeo di Pierre Laurent, perché s'era alleato ai socialisti nelle elezioni comunali di Parigi. Al suo rientro, in occasione delle europee del 2014, il Se ha candidato proprio Tsipras alla presidenza della commissione europea. La dichiarazione adottata domenica ricorda che il Pg aveva già messo in discussione la presenza di Syriza di fronte all'esecutivo del Se, ma senza successo. Il partito di Jean Luc Melenchon ha quindi preso atto del rifiuto della sua richiesta ed è uscito dal Se, considerando che «il periodo invita più che mai ad essere chiari di fronte alla politica di austerità dell'Ue» e che «qualsiasi applicazione di questa politica da parte di un membro della Sinistra europea ignora qualsiasi posizione anti-austerity presa dagli altri membri». «Syriza è diventata la rappresentante della linea di austerità in Grecia al punto di attaccare il diritto di sciopero, abbassare drasticamente le pensioni, privatizzare interi settori dell'economia; tutte le misure contro le quali i nostri partiti combattono in ciascuno dei nostri Paesi», si legge nella dichiarazione. La decisione era diventata inevitabile. E affonda le sue origini sin dal varo del Plan B, da parte di Jean-Luc Mélenchon e dei suoi alleati nell'autunno del 2015, a cui i partiti comunisti membri del Se, a cominciare dal Pcf (il Partito comunista francese, ndr), non non hanno mai accettato di partecipare. I contatti presi nei vertici legati al Plan B hanno permesso a France insoumise, in cui il Pg di Mélenchon è pienamente impegnato, di costruire alleanze con altri partiti europei intorno a una piattaforma comune, il cosiddetto appello di Lisbona, firmato ad aprile con Podemos (Spagna) e Bloco de izquierda (Portogallo). Questo raggruppamento, che registra simpatie anche in Italia, in settori di Rifondazione comunista e di Potere al popolo, aspira a guidare uno schieramento, il prossimo anno, al Parlamento europeo. All'appello, lanciato il 12 aprile scorso, hanno aderito: Alleanza rosso-verde (Arv, Danimarca), Partito della sinistra (Svezia), Alleanza di sinistra (Finlandia). Il Pcf francese ha invitato lunedì scorso i rappresentanti della sinistra a incontrarsi per la costruzione di una lista alle elezioni europee, «la più ampia possibile», Jean-Luc Mélenchon era però a Madrid con il leader del Podemos, Pablo Iglesias. In Italia si attende che Luigi De Magistris chiarisca il ruolo che vorrà recitare per le europee e quali compagni di strada sceglierà. L'eventuale presenza di Varoufakis, anch'egli interessato a guidare uno schieramento transnazionale (ma che in Italia potrebbe allearsi con il sindaco di Napoli), potrebbe contribuire a snellire la compagine. C'è anche l'ipotesi di una lista Colau, la popolare sindaca di Barcellona che potrebbe riprodurre il modello di "confluencia" che le ha consentito di vincere le elezioni comunali. Ovvio che il profilo assunto da Tsipras all'indomani del voltafaccia rispetto all'“Oki” contro il III memorandum non consenta una replica di una lista europea antiliberista guidata da lui. La mossa di Melenchon, tuttavia, al di là del merito, potrebbe ingarbugliare le acque del dibattito a sinistra qui in Italia. Su Left n. 27, in edicola da venerdì 6 luglio, Checchino Antonini fa il punto sul cosiddetto "quarto polo", intorno a cui si sta raccogliendo la sinistra in Italia in vista delle europee 2019 [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

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Jean-Luc Mélenchon lascia il Partito della Sinistra europea: «A un anno dalle elezioni europee, non è più possibile unire nello stesso partito europeo gli oppositori e gli artigiani dell’austerità». Durante l’ultimo giorno del loro congresso, i delegati francesi del Parti de gauche (Partito della sinistra, Pg) hanno ufficialmente deciso di lasciare il Partito della sinistra europea (Se) con una dichiarazione approvata domenica scorsa con 208 voti, 2 contrari e 3 astensioni.

Il Partito della Sinistra europea è stato creato nel 2003, riunisce una trentina di partiti: comunisti, “rosso-verdi”, socialisti o democratici di sinistra, di 17 Stati membri dell’Unione europea e 4 Paesi al di fuori. Il Pg è nato alla fine del 2008, aveva formalmente aderito all’Se nel dicembre 2010 al suo terzo congresso, quando il comunista Pierre Laurent aveva preso la presidenza.

Alla fine del successivo Congresso, nel 2013, Pg aveva sospeso temporaneamente la sua partecipazione al Se, per protestare contro la riconferma come capo del partito europeo di Pierre Laurent, perché s’era alleato ai socialisti nelle elezioni comunali di Parigi. Al suo rientro, in occasione delle europee del 2014, il Se ha candidato proprio Tsipras alla presidenza della commissione europea.

La dichiarazione adottata domenica ricorda che il Pg aveva già messo in discussione la presenza di Syriza di fronte all’esecutivo del Se, ma senza successo. Il partito di Jean Luc Melenchon ha quindi preso atto del rifiuto della sua richiesta ed è uscito dal Se, considerando che «il periodo invita più che mai ad essere chiari di fronte alla politica di austerità dell’Ue» e che «qualsiasi applicazione di questa politica da parte di un membro della Sinistra europea ignora qualsiasi posizione anti-austerity presa dagli altri membri».

«Syriza è diventata la rappresentante della linea di austerità in Grecia al punto di attaccare il diritto di sciopero, abbassare drasticamente le pensioni, privatizzare interi settori dell’economia; tutte le misure contro le quali i nostri partiti combattono in ciascuno dei nostri Paesi», si legge nella dichiarazione. La decisione era diventata inevitabile. E affonda le sue origini sin dal varo del Plan B, da parte di Jean-Luc Mélenchon e dei suoi alleati nell’autunno del 2015, a cui i partiti comunisti membri del Se, a cominciare dal Pcf (il Partito comunista francese, ndr), non non hanno mai accettato di partecipare.

I contatti presi nei vertici legati al Plan B hanno permesso a France insoumise, in cui il Pg di Mélenchon è pienamente impegnato, di costruire alleanze con altri partiti europei intorno a una piattaforma comune, il cosiddetto appello di Lisbona, firmato ad aprile con Podemos (Spagna) e Bloco de izquierda (Portogallo). Questo raggruppamento, che registra simpatie anche in Italia, in settori di Rifondazione comunista e di Potere al popolo, aspira a guidare uno schieramento, il prossimo anno, al Parlamento europeo.

All’appello, lanciato il 12 aprile scorso, hanno aderito: Alleanza rosso-verde (Arv, Danimarca), Partito della sinistra (Svezia), Alleanza di sinistra (Finlandia). Il Pcf francese ha invitato lunedì scorso i rappresentanti della sinistra a incontrarsi per la costruzione di una lista alle elezioni europee, «la più ampia possibile», Jean-Luc Mélenchon era però a Madrid con il leader del Podemos, Pablo Iglesias.

In Italia si attende che Luigi De Magistris chiarisca il ruolo che vorrà recitare per le europee e quali compagni di strada sceglierà. L’eventuale presenza di Varoufakis, anch’egli interessato a guidare uno schieramento transnazionale (ma che in Italia potrebbe allearsi con il sindaco di Napoli), potrebbe contribuire a snellire la compagine. C’è anche l’ipotesi di una lista Colau, la popolare sindaca di Barcellona che potrebbe riprodurre il modello di “confluencia” che le ha consentito di vincere le elezioni comunali.

Ovvio che il profilo assunto da Tsipras all’indomani del voltafaccia rispetto all’“Oki” contro il III memorandum non consenta una replica di una lista europea antiliberista guidata da lui. La mossa di Melenchon, tuttavia, al di là del merito, potrebbe ingarbugliare le acque del dibattito a sinistra qui in Italia.

Su Left n. 27, in edicola da venerdì 6 luglio, Checchino Antonini fa il punto sul cosiddetto “quarto polo“, intorno a cui si sta raccogliendo la sinistra in Italia in vista delle europee 2019

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