Prosegue il viaggio di Pietro Greco nel rapporto tra la scienza e la storia d'Europa. Nella prima parte del XX secolo si decide quello che sarà il futuro scientifico, economico e tecnologico del Vecchio continente. E tutto comincia dalla partenza del grande fisico

La scienza e l’Europa. Il primo Novecento è il nuovo libro di Pietro Greco – di cui pubblichiamo la premessa – appena uscito per L’Asino d’oro edizioni. È il quarto volume di una serie dedicata alla storia della scienza e della ricerca, sin dalle origini, intrecciata con quella dell’Europa. Un viaggio affascinante nel passato che è anche una efficace chiave di comprensione del presente. 

 

Il 10 dicembre 1932 Albert Einstein si imbarca sul piroscafo Oakland dal porto tedesco di Bremerhaven, sul Mare del Nord, per raggiungere gli Stati Uniti d’America. Lo scienziato più famoso del mondo e forse di ogni
tempo – il ‘papa’ della fisica – lascia l’Europa. Non vi metterà più piede. Meno di due mesi dopo, il 30 gennaio 1933, Adolf Hitler assume il potere a Berlino. In dodici anni porterà a compimento, fino alle più tragiche conseguenze, la grande crisi del Vecchio continente, che si consuma anche con la – e a causa della – sostanziale rottura del rapporto secolare e ormai quasi monopolistico tra la scienza e l’Europa.
Sì, il Novecento è il secolo della grande crisi europea. Tutto cambia, nel continente. Radicalmente. Tragicamente.
La crisi si consuma soprattutto all’inizio del secolo. Con una serie di rivoluzioni culturali che hanno rari precedenti nella storia per creatività e radicalità. L’arte, la letteratura, la filosofia, la scienza conoscono tutte un
processo di cambiamento che è giusto definire, appunto, rivoluzionario. Tutte propongono un modo nuovo di guardare al mondo e a noi stessi. Picasso, Joyce, Russell, Einstein diventano le icone di questa inedita transizione.
Nei primi decenni del XX secolo la cultura europea raggiunge un apice. Forse il più alto della sua storia.
Ma la crisi di inizio Novecento non è solo culturale. Non libera solo la creatività spesso gioiosa degli uomini di cultura europei. È anche una crisi sociale e politica. L’Europa percorre fino in fondo il sentiero di una lunga
guerra civile – che comincia prima del 28 giugno 1914 (attentato di Sarajevo e inizio della prima guerra mondiale) e termina dopo l’8 maggio 1945 con la resa incondizionata della Germania agli Alleati – che la porta a perdere non solo la sua leadership nel mondo, ma anche la sua identità e persino la sua umanità.
Dopo la grande crisi della prima metà del Novecento, a guidare il mondo saranno paesi di altri continenti.
La tesi che proponiamo in questo quarto libro della serie La scienza e l’Europa è che il piccolo continente che ha assunto la guida del mondo non riesce a gestire i frutti dello straordinario sviluppo scientifico che ha
realizzato tra il Seicento e l’Ottocento. E passa la mano. La crisi dell’Europa è anche e soprattutto la crisi del suo rapporto con la scienza. La partenza definitiva di Einstein cinquanta giorni prima dell’ascesa al potere di Hitler è la metafora e insieme uno dei punti di svolta reali della rottura inevitabile tra la scienza e l’Europa. Una rottura che, per paradosso, si consuma proprio mentre la ricerca scientifica raggiunge nelle università e nei centri di ricerca del continente un picco (forse il suo massimo picco) di creatività. Einstein che si trasferisce a Princeton è il segnale più forte che la grande crisi sociale e politica del Vecchio continente sta facendo spostare l’asse
scientifico del mondo dall’Europa agli Stati Uniti d’America. La grande crisi che genera la lunga guerra civile europea della prima parte del XX secolo non è un fulmine a ciel sereno. Affonda le sue radici nell’Ottocento. Nelle trasformazioni culturali, tecnologiche ed economiche che hanno cambiato, letteralmente, il volto dell’Europa. Trasformazioni che hanno avuto la loro più rapida e radicale espressione in Germania.
La grande crisi europea del Novecento è, nel bene (la nuova rivoluzione scientifica e più in generale culturale) e nel male (il nazismo), anche e soprattutto la grande crisi della Germania. È infatti proprio la Germania – che da una costellazione di Stati tutto sommato arretrati si è trasformata in una nazione unita e all’avanguardia – l’epicentro della crisi che frantuma l’Europa in molte dimensioni. In quella degli Stati nazionali, portando a due guerre in cui la Germania si contrappone alla quasi totalità del resto d’Europa.
Ma la frammentazione è anche all’interno dei singoli Stati. Tra classi sociali. La crisi tedesca, in particolare, è una crisi che, mentre l’economia cresce e il volto del paese cambia, non riesce a comporre un equilibrio tra le varie componenti della società e determina una lunga ‘guerra interna’. Il conflitto di classe e il conflitto tra le nazioni in Europa si saldano in qualche modo con la nascita dell’Unione Sovietica. Mentre la guerra interna tra le varie componenti della società – in Germania, ma non solo in Germania – assume le vesti della discriminazione razziale e si consuma tragicamente nell’olocausto, con lo sterminio degli ebrei, dei rom, degli omosessuali, dei disabili da parte dei nazisti tedeschi ma anche di molti regimi fascisti di altri paesi europei.
In sintesi, la scienza ha consentito all’Europa uno sviluppo senza precedenti. Nell’Ottocento le differenze tecnologiche ed economiche indotte dalla ricerca scientifica tra il piccolo continente e il resto del mondo sono
diventate enormi, per certi versi clamorose. Ma lo sviluppo ha generato anche una dinamica sociale che ha stentato a trovare un equilibrio. E anzi è divenuta tensione perenne che nel 1914 e poi ancora nel 1939 si è trasformata in conflitto armato.
L’Europa non ha saputo governare i frutti del suo rapporto privilegiato con la scienza. E così, nella prima parte del XX secolo, quel rapporto si rompe. Prima ancora che Hitler salga al potere, Einstein si trasferisce in America.
L’asse scientifico – e quindi economico e tecnologico del mondo – si è definitivamente spostato.