Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera ha scritto un interessante articolo sull’onda del rancore che starebbe attraversando il Paese e soffiando sulle vele delle forze populiste. Scrive De Rita: «Il rancore è il lutto di quel che non è stato: nella vita individuale, nasce nelle tante persone che hanno perseguito e non ottenuto un proprio obiettivo di avanzamento e vivono quindi una frustrazione aperta, quasi contigua, al rancore; nella vita collettiva, nasce nei tanti gruppi sociali e centri d’opinione che vedono fermo l’ascensore sociale e bloccati tutti i meccanismi volti a più alti livelli di agiatezza e di prestigio sociale». E aggiunge che probabilmente dopo il rancore potrebbe sopraggiungere l’appiattimento come malattia.
L’interpretazione del momento attuale è indubbiamente alta e interessante e si aggiunge ai molti allarmi che di questi tempi stanno partorendo appelli in ogni dove. In molti ogni giorno cerchiamo di raccontare l’oscenità di un «ministro dell’Inferno» che ha deciso di incarnare (o simulare, meglio, altrimenti rischiamo di dargli perfino troppo credito) tutto ciò che il rancore ha seminato in questi anni: Lega e Movimento 5 stelle sono i locomotori di uno sdegno incattivito che troppo spesso trova nella demolizione dell’altro materia di primo conforto.
Confesso però di serbare un timore: il problema dell’Italia non è il Salvini di turno e nemmeno questo governo. Il problema dell’Italia è che anche chi sta dall’altra parte della barricata sembra più interessato ad abbattere il nemico piuttosto che a costruire una chiave collettiva di ricostruzione. Come già successe per Berlusconi, l’individuazione di un nemico riconoscibile, quasi iconico, evita la fatica (e la capacità) di voler capire cosa ci ha portato fino a qui. La perdita di fiducia nelle istituzioni, l’impoverimento generale, la sensazione di essere sudditi di pessimi regnanti, la presa di coscienza di un valore che viene assegnato alle persone in base alla loro produttività, l’abitudine di avere rappresentanti politici che curano gli interessi dei pochi piuttosto che dei molti e la finanziarizzazione delle persone sono temi che richiedono una soluzione che vada ben al di là dell’abbattimento del Salvini di turno. Se il rancore nasce dal mancato raggiungimento del livello minimo di dignità delle persone, non è solo cattivismo, populismo o razzismo ma forse è anche la reazione a un malessere che andrebbe ascoltato e interpretato.
Se l’obiettivo è solo quello di eliminare i rancorosi sarà difficile ricostruire il tessuto sociale che qualche ministro sta giocando a strappare. Additare senza proporre una soluzione è troppo semplice e piuttosto elitario. Serve, per dirlo con una parola sola, un’opposizione che sia anche un’alternativa. Politica e culturale. E difficilmente mi viene da credere che sia la stessa classe dirigente, che ha guidato il Paese mentre covava tutto questo, a poter risolvere la questione. E su questo mi pare che siamo piuttosto indietro.
Buon giovedì.