Nel giugno del 2009 Muhammar Gheddafi andò a Roma per la sua prima visita di Stato in Italia. Oltre che dal portato politico dell’evento, che chiudeva quarant’anni di contrasti e suggellava l’amicizia con l’allora premier Silvio Berlusconi, l’appeal mediatico della visita fu alimentato anche dall’apparato scenico predisposto per l’occasione. A partire dalla tenda piantata a villa Pamphili, per finire con la vistosa fotografia che il leader libico aveva appuntato sulla divisa, durante l’incontro col capo del governo italiano. L’anziano uomo vestito di bianco, in catene, che appariva sul suo petto era Omar al-Mukhtar, capo della resistenza libica contro l’occupazione italiana; la foto lo immortalava poco dopo la cattura, quando era in procinto di essere impiccato di fronte alla sua gente, in seguito a un processo-farsa. Gheddafi aveva scelto il palcoscenico della visita di Stato per mostrare al mondo un simbolo della fierezza libica e, al tempo stesso, della crudeltà italiana.
Seppure con un risalto mediatico decisamente inferiore, la stessa crudeltà è stata evocata lo scorso aprile a Milano, quando, sulla statua eretta in memoria di Indro Montanelli, le militanti di un gruppo femminista hanno scritto: “Stupratore di bambine”. Il riferimento era alla “moglie” dodicenne, acquistata dal giornalista quando si trovava nel Corno d’Africa, durante la guerra d’Etiopia. Era «un animalino docile», disse in un’intervista rilasciata a Enzo Biagi lo stesso Montanelli, che in altre occasioni aveva rivendicato le proprie azioni perché, diceva, in Africa una dodicenne è già una donna.
Capita spesso che la stampa, per commentare la cronaca, sia obbligata a tornare indietro nel tempo, sino al periodo in cui l’Italia possedeva delle colonie. È capitato durante la visita di Mattarella ad Addis Abeba del 2016, che si svolse nel giorno in cui l’Etiopia ricorda gli eccidi compiuti dagli occupanti italiani; ed è capitato più volte, a partire dal 2012, quando si è acceso il dibattito attorno…