Il leghista Pillon vuole riformare l’affido condiviso introducendo un’idea tutta sua di «bigenitorialità perfetta». Che non tiene conto delle esigenze delle donne e dei bambini, trattati come oggetti. Piegandole ad una concezione patriarcale della famiglia

La co-genitorialità è un processo complesso, che inizia nelle aspettative dei genitori prima ancora che la figlia o il figlio nasca, e poi si forma, consolida, cambia nelle negoziazioni quotidiane tra genitori e tra genitori e figli, man mano che questi crescono. Gli equilibri che si raggiungono tra genitori sono spesso asimmetrici, come documentano anche ricerche recenti sulla transizione alla genitorialità, che mostrano come aspettative e intenzioni egualitarie poi si ridefiniscano spesso lungo linee tradizionali dopo la nascita di un figlio, seguendo copioni di genere più o meno modernizzati. Ma anche là dove c’è maggiore uguaglianza e i ruoli genitoriali sono più interscambiabili, non tutto è diviso esattamente a metà, ma si cerca un equilibrio tra le esigenze, capacità, disponibilità dell’uno e dell’altra rispetto ai bisogni – mutevoli – dei figli. Quando i genitori si separano questi equilibri per forza si rompono e occorre trovarne di nuovi, e prima ancora sviluppare nuovi modi, nuove disponibilità, per negoziarli.

Di fronte a questa complessità, il disegno di  legge “in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”, che vede primo firmatario il senatore leghista Pillon, propone una ricetta basata su un’idea di parità insieme perfetta e semplificata delle responsabilità genitoriali, con la divisione esattamente a metà di tutto: tempo, spese, attività. 

Come se fare il genitore potesse essere disarticolato in una serie di mansioni precise, non ci fossero imprevisti, ma nemmeno spazio per l’immaginazione, per cogliere le opportunità e tenere conto dei cambiamenti. Il tutto a prescindere non solo dall’età dei figli, dai loro ritmi ed esigenze specificamente individuali, ma anche dalla storia pregressa di quella famiglia, dai rapporti tra genitori e figli, dalla divisione delle responsabilità consolidata nel tempo e così via. Così, l’opportunità, tutta da incoraggiare, che i figli abbiano uno spazio – fisico e relazionale – di quotidianità sia presso la madre sia presso il padre diventa un obbligo, per i figli, a dividersi “paritariamente” tra due case.

Senza considerare cosa ciò comporti per… 

L’articolo di Chiara Saraceno prosegue su Left in edicola dal 28 settembre 2018


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