Dal 18 al 20 ottobre a Napoli si riuniscono i comitati e i movimenti italiani della rete “Sud Europa di fronte alla turistizzazione”. Da Barcellona a Lisbona, da Venezia a Firenze la resistenza dei cittadini che difendono i diritti collettivi

Marco d’Eramo lo aveva scritto già nel 2017 nel saggio Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo (Feltrinelli): «Come luogo di residenza e di vita, la città turistica diventa invivibile per l’autoctono (…) Si può definire una soglia precisa che separa una città turistica in senso stretto da una città che vive anche di turismo. Finché l’afflusso di visitatori non supera questa soglia, i turisti usufruiscono di servizi e prestazioni pensati per i residenti. Oltre questa soglia invece, i residenti sono costretti a usufruire dei servizi pensati per i turisti». Le prestazioni e i servizi sono il diritto all’alloggio, un sistema di mobilità pubblica efficiente, una condizione lavorativa dignitosa, la difesa dall’ambiente e del territorio. Di questi temi si parlerà a Napoli, dal 18 al 20 ottobre prossimi, al primo incontro nazionale della rete italiana Set (Sud Europa di fronte alla turistizzazione), un sistema di movimenti del Sud Europa nato in Spagna per contrastare il turismo di massa e i suoi effetti irreversibili sulla vita dei cittadini.
Nel manifesto fondativo di Set si legge: «In molte città del Sud Europa stanno nascendo movimenti di resistenza ai processi di turistificazione. Associazioni e collettivi di alcune di queste (Venezia, Valencia, Siviglia, Palma, Lisbona, Malta, Malaga, Madrid, Barcellona) si sono incontrati nel corso dell’ultimo anno con l’obiettivo di condividere esperienze e conoscenze. Anche se ognuna di queste città presenta problemi specifici legati al fenomeno della turistificazione, alcuni sono senza dubbio comuni a tutte loro. Il più importante ed esteso è l’aumento della precarizzazione del diritto all’alloggio, in buona parte provocato dall’acquisto massivo di immobili da parte di fondi di investimento immobiliari da destinare al mercato turistico».
Se la rete Set è apartitica i temi sono quantomai politici, in quanto espressione di bisogni reali e sostanziali che, al netto delle specificità territoriali, sono accumunate da un sottile ma potente fil rouge, l’erosione dei diritti fondamentali: casa, lavoro e fruizione degli spazi pubblici.
«Se l’unica fonte di crescita economica è individuata nel turismo senza regole è chiaro che siamo di fronte ad un abbaglio dalle importanti ricadute sociali, lavorative e abitative» spiega Antonella Esposito del comitato di Napoli che, con Firenze e Venezia, è una delle tre città nostrane a far parte della costola italiana della rete europea Set. «A Napoli, nel corso degli ultimi tre anni, il turismo è aumentato esponenzialmente – prosegue Esposito – e questo dato è stato letto come un segno di riscatto da un immaginario comune non favorevole alla città. Dall’altro lato, stiamo assistendo ad una progressiva espropriazione delle abitazioni del centro storico, adibite alle locazioni brevi per affitti turistici. Il nostro tessuto sociale è particolarmente fragile e la compresenza tra la alta povertà e la pressione turistica crea un importante spazio di frizione». Tradotto: sfratti in costante crescita, aumento del costo della vita e del canone degli affitti.
«Anche sul tema del lavoro, di cui vengono sottolineati solo i benefici a breve termine, è indispensabile fare un ragionamento più complessivo: i principali settori turistici, quali l’alberghiero, la ristorazione e il commercio, presentano spesso le peggiori condizioni di lavoro per salari bassi, lavoro in nero ed esternalizzazioni», aggiunge Esposito.
Infine, sul fronte degli spazi pubblici: «È in atto una sorta di militarizzazione dei luoghi, con ordinanze e controlli “antipanchina”, come già avvenuto in tante altre città italiane».
Siamo ancora sicuri che il turismo sia da considerare una risorsa economica sacra e intoccabile? «Il turismo è la nuova veste del capitalismo, visto che rappresenta circa il 10% del Pil mondiale e il 13% di quello italiano. Ma con quali conseguenze? – si interroga Maria Fiano, insegnante e attivista del collettivo veneziano “Officina del Pensiero e Azione”. La nostra città rende evidente, fino alle estreme conseguenze, quello che succederà anche alle altre città. Si calcola che siano 27 milioni i visitatori annui a Venezia, che incidono pesantemente su una popolazione residente composta da 54mila abitanti. Il centro storico si è svuotato da anni, e tutte le funzioni sono pensate per il turista causando un grave impoverimento del tessuto sociale. L’aeroporto di Venezia si è ingrandito, come quello vicino di Treviso, garantendo sempre maggiori arrivi di visitatori. Nei fine settimana abbiamo dalle sei alle dieci navi da crociera ormeggiate in laguna, che provocano seri problemi d’inquinamento e dissesto idro-morfologico all’ambiente lagunare, già naturalmente fragile. Mi chiedo fino a quando i turisti saranno disposti a visitare una città in cui è sempre più difficile persino muoversi e camminare, e preferiranno infine andare altrove lasciando dietro di sé una città svuotata e desolata».
«È comunque doveroso precisare che non siamo “turismofobici”, crediamo tuttavia che sia necessario leggere il fenomeno del turismo nel suo insieme, ed esaminarne le dinamiche in senso globale altrimenti ne cogliamo solo gli aspetti più marginali, come la movida o il degrado, lasciandoci sfuggire la cornice dalle conseguenze assai più complesse» aggiunge ancora Esposito.
Anche Antonio Fiorentino, del laboratorio politico PerUnaltracittà di Firenze, ricorda il libro di Marco d’Eramo: «L’industria turistica è paragonabile all’industria pesante degli anni Sessanta. È una delle cause della distruzione delle città ed è quindi necessario un processo di riappropriazione della stessa». Fiorentino, come Esposito di Napoli, sottolinea la militarizzazione degli spazi pubblici, a seguito di numerose ordinanze sul decoro che vietano, in certi luoghi caldi del centro storico, di mangiare per strada o sulle panchine: «È un’involuzione autoritaria a cui si sottopone la città che, ricordiamolo, non è una caserma. Ci sono inoltre enormi pressioni di tipo immobiliare speculativo, sia sul centro storico Unesco, sia sulla città metropolitana, nella periferia a nord ovest di Firenze, dove sono previste, tra le altre cose, la costruzione del nuovo stadio della Fiorentina e l’ampliamento dell’aeroporto di Peretola». Con il potenziamento dell’aeroporto si stima l’arrivo di ulteriori 4 milioni di persone annue, in una città di 350mila abitanti e che può già vantare una media di 14 milioni di visitatori all’anno.
«È chiaro che le amministrazioni si devono porre il problema, ormai improrogabile, sul futuro di Firenze: vogliamo distruggere definitivamente la città – prosegue Fiorentino – o vogliamo investire realmente sulla ricchezza del territorio?». La questione “aeroporto” è talmente cruciale per la città che, alla soglia delle amministrative della prossima primavera, tutte le forze politiche si sono espresse sulla necessità o meno dell’opera, dal sindaco Pd Dario Nardella (favorevole) alla Lega (contraria a giorni alterni), fino alla Cgil Toscana che ha espresso forti dubbi di natura ambientale ed economica sull’ampliamento, bocciando di fatto il progetto.
«A tutte le forze politiche che si stanno spendendo per bloccare l’ampliamento di Peretola, vorrei ricordare che, se mai il progetto sarà fermato, sarà solo grazie ai comitati che da anni lottano contro un’opera inutile e dannosa». Insomma, il turismo è ormai una questione troppo seria per essere lasciata alle polemiche politiche da perenne campagna elettorale.

Sull’esperienza di Lisbona contro la gentrification e per una nuova politica dell’abitare leggi Left n.20 del 18 maggio 2018