Parlare ancora di petrolio, oggi, dovrebbe risultare anacronistico. Ci si sarebbe aspettato che il falso mito di ricchezza e benessere diffuso che l’oro nero porta con sé avesse finalmente fatto largo ad altre forme di energia. Quelle alternative, rinnovabili, di cui conosciamo a fondo il minore impatto ambientale, ma che, invece, ancora fanno fatica a ritagliarsi lo spazio che meritano nella programmazione energetica italiana, e nel dibattito pubblico.
Nel nostro Paese il petrolio ha assunto la forma di un’intera regione, una di quelle piccole e isolate dalle infrastrutture e dai media. È qui che, trent’anni or sono, è stato scoperto il giacimento di greggio su terraferma più grande d’Europa.
Una regione, la Basilicata, storicamente alle prese con le emergenze occupazionali e l’emigrazione, che d’improvviso si trovò di fronte alla promessa di una svolta. Descrivere oggi l’incontro-scontro tra la concretezza dei bisogni e delle esigenze di una intera popolazione e il miraggio dello sviluppo è impresa non facile.
Proveremo a farlo nelle pagine che seguono, evidenziando le ricadute sulle persone da un punto di vista economico, sanitario e ambientale. E senza sottovalutare le sfumature di carattere politico e giudiziario.
Scoprirete cosa succede, e a quale prezzo, quando si accetta la presenza delle multinazionali del petrolio sul proprio territorio. Una decisione dalla quale gli abitanti della Basilicata non sono più potuti tornare indietro.
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