Si dice sempre dei posti considerati vecchi, quelli consolidati come inutili nel pensiero torbido della modernità: un libreria? Non scherziamo, meglio un supermercato. Un teatro? Dai, su, qui ci vengono dei begli appartamenti, in centro, che si vendono bene. Istituzioni e poli culturali considerati vecchi e dismessi in nome del mercato. Pensateci, ne siamo pieni, dappertutto e la retorica è sempre la stessa: se non serve perché “l’ha deciso il mercato” allora bando alle ciance e alle nostalgie, abbattiamolo.
In quel vetusto palazzo che è il Parlamento è andato in scena il festival dell’inutilità: decine di senatori scocciati di dovere addirittura sacrificare il sabato prenatalizio si aggiravano sconci per i corridoi scambiandosi qualche battuta che non fa ridere per ingannare il tempo e per dissimulare la figura barbina. Ciò che stupisce davvero è che questi avrebbero dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e invece ne hanno fatto un sarcofago, un sacchetto dell’umido chiuso stretto dove buttare la bava dei propri errori e dei propri orrori, sono un’allegra combriccola di studenti in gita disposta a servire i due padroni pur di godersi il successo finché dura.
Per tenerli buoni, nella manovra, i capi hanno sganciato qualche mancetta utile per concimare i collegi elettorali: ci sono i senatori della Lega che brindano come molesti tifosi in trasferta per il finanziamento della metro Milano-Brescia, ci sono i 35 milioni di euro per gli aeroporti di Reggio Calabria e di Crotone (con altri che di sicuro stanno brindando sull’innalzamento del limite per gli affidamenti diretti dei lavori, senza gara, come piace alle mafie), c’è un milione di euro per finanziare “festival, cori, bande” secondo la più alta aspirazione culturale leghista, 2 milioni di euro per i perseguitati (tranquilli, solo i cristiani perseguitati, ovviamente) e tutta la solita scia da marchettificio di tradizione democristiana solo che questa volta indossa l’abito del cambiamento. Che bello, eh.
Ma soprattutto c’è il sottovuoto spinto di una schiera di senatori che hanno già pronti i discorsi, le risposte e le fulminanti battute per descrivere una manovra che non ha letto nessuno. Un clan di camerieri proni a votare qualcosa che non hanno nemmeno il tempo di leggere, disposti a schiacciare il bottone purché la baldoria possa continuare e purché sia il tempo di vacanze di Natale. Non hanno votato con la fiducia: hanno votato sulla fiducia, come accade a tutti quando non si ha voglia di metterci testa. Tanto alla fine conta il pulsante, i pallini che si illuminano sul tabellone e dei buoni uffici stampa per vomitare un po’ di propaganda.
Allora tanto vale farci un supermercato, in Parlamento. E le due Camere le traslochiamo sugli account twitter dei vice premier. No?
Buon lunedì.