Dice Matteo Salvini, alla sua prima vigilia di Natale da vicepremier, che questa è una manovra «che parte dalla riduzione delle tasse, non per tutti ma per tanti, dal diritto alla pensione. Dal diritto al lavoro, allo studio, aiuta i poliziotti, gli artigiani e i commercianti. Senza fare miracoli sono contento di una manovra che rimette migliaia di euro nelle tasche degli italiani». Sarà vero?
Il lungo “tira e molla” tra il governo italiano e la Commissione europea si è concluso senza rotture, senza l’apertura della procedura di infrazione per l’Italia, all’insegna del compromesso, con significativi passi indietro del governo ma anche con indicatori finanziari lontani dalle strettoie del fiscal compact. L’asticella del deficit annuale scende dal 2,4 al 2%, la manovra è stata largamente riscritta, l’Italia resta sotto sorveglianza speciale e presto ci saranno nuove verifiche sull’applicazione reale delle misure definite.
L’accordo di Bruxelles obbliga il governo italiano a tagliare di 10 miliardi la legge di bilancio congelando altri due miliardi per coprire sfondamenti imprevisti, a ridurre, sulla base di evidenti dati obiettivi, le previsioni di crescita dall’1,5% all’1%, a prevedere un rapporto deficit/pil per il 2019 del 2% per scendere poi all’1,8% nel 2020 e al 1,5% nel 2021, a introdurre più pesanti clausole di salvaguardia che passano nel 2020 dalla prevista cifra di 13,7 miliardi a 23,1 miliardi e nel 2021 da 15,5 a 28,7 miliardi. Questi soldi (52 miliardi in tre anni) devono saltare fuori in altro modo oppure le aliquote dell’Iva, quella agevolata e quella ordinaria, schizzeranno verso l’alto, la prima al 13%, la seconda al 25,2% e poi anche al 26,5%.
E ai tagli materiali si sommano quelli di democrazia: questa legge di bilancio, la principale legge di un Paese, non ha avuto alcuna discussione, neanche formale; deputati e senatori sono rimasti passivi per settimane, in attesa di un accordo di vertice prima tra le fazioni di governo e poi tra queste e Juncker. I parlamentari hanno potuto solo alzare la mano su un testo quasi sconosciuto.
Tagli e altre trappole
In attesa della definizione delle due misure simbolo, reddito di cittadinanza e pensioni, nella manovra approvata dopo una notte di bagarre al Senato con 163 sì, i finanziamenti vengono ridotti di oltre 4 miliardi e solo in parte potranno essere compensati da un miglior uso dei fondi europei e dalla flessibilità (0,2% del Pil) che la Commissione europea ha concesso per le opere infrastrutturali e il dissesto idrogeologico. Altri cospicui tagli riguardano le ferrovie, il finanziamento delle politiche comunitarie, il fondo per la coesione territoriale e il fondo per gli investimenti nella PA, ed anche infine per alcune riduzioni (modeste) di sgravi per le imprese. Le maggiori entrate dovrebbero arrivare ancora una volta dal pacchetto sui giochi, dalla web tax e da una rimodulazione dei crediti di imposta, ma anche e soprattutto dalle dismissioni immobiliari, cioè dalla svendita dei beni pubblici ed anche dal raddoppio (dal 12% al 24%) dell’aliquota fiscale Ires per gli enti non commerciali, cioè anche per coloro che operano nel campo no profit.
Vengono introdotte quattro misure penalizzanti per il lavoro, il reddito, la democrazia e i territori che occorre sottolineare: la prima è il rinvio almeno fino al novembre del 2019 delle assunzioni nel pubblico che dovevano rimpiazzare in minima parte il turn over; la seconda sono i tagli ai fondi per l’editoria, che colpiscono in primis Radio radicale e il manifesto. La terza è la più drammatica, il taglio dei contributi Inail proprio in una fase in cui la deregolamentazione del lavoro sta producendo una recrudescenza degli incidenti sul lavoro; una norma vergognosa che fa “risparmiare” alle imprese 1,5 miliardi nei prossimi tre anni. Da tempo gli imprenditori si presentavano a tutte le audizioni parlamentari chiedendo di poter mettere la mano sul tesoretto dell’Inail che ammontava ad almeno due miliardi. Sono stati accontentati.
La quarta sono i tagli delle pensioni più alte (previsto per 5 anni e probabilmente solo su quelle calcolate col sistema retributivo), un provvedimento gravissimo (si tratta di un salario differito dovuto) e che sarà il cavallo di troia per estenderlo progressivamente a pensioni ben più modeste; ma non meno grave è la modifica verso il basso della rivalutazione delle pensioni che passa da 4 a 7 fasce e che, secondo il governo, permetterà di risparmiare (cioè di rubare ai pensionati) 2,2 miliardi in tre anni al netto del fisco. Ma il calcolo che altri hanno fatto riportato dal Sole 24 ore è di 10 miliardi.
E poi c’è un miliardo di “tagli ombra” che si troveranno a dover fronteggiare i Comuni proprio quando il governo si appresta a firmare l’accordo con i presidenti di Lombardia e Veneto che concede l’autonomia “differenziata” a queste regioni; per gestire scuola santità e altri servizi pubblici non avranno più bisogno dei soldi dello Stato perché avranno direttamente una percentuale delle tasse versate dai loro cittadini e queste risorse le potranno usare come meglio credono. Inoltre, le Regioni e gli enti locali, avranno la possibilità di aumentare Irap, Imu/Tasi e addizionali Irpef a causa della rimozione del blocco delle aliquote sui tributi locali. Una stangata da un miliardo sui redditi più bassi.
Infine, emblematica, una deroga per l’iscrizione agli ordini anche da parte di professionisti che abbiano lavorato almeno 36 mesi nell’arco di 10 anni. Una sanatoria che consente l’iscrizione all’albo di chi abbia svolto abusivamente professioni infermieristiche, ostetriche, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, pur non avendo seguito un corso di studi certificato per entrare in possesso di conoscenze adeguate, né avendo superato esami e prove. Con buona pace dei mantra su legalità e salute pubblica.
Cambiano i congedi parentali. I giorni per i neopapà aumentano: cinque sono obbligatori e uno facoltativo (se compensato con uno della mamma). Le madri potranno rimanere al lavoro fino al nono mese, godendo di tutti e 5 i mesi di congedo dopo il parto. Dopo il terzo figlio alle famiglie numerose arriva in regalo un appezzamento di terreno. Il bonus per gli asili passa da 1.000 a 1.500 euro. Viene stanziato 1 milione di euro per agevolazioni all’acquisto – obbligatorio – dei seggiolini antiabbandono sia nel 2019 che nel 2020. Ecobonus, sismabonus, bonus mobili e per i giardini sono tutti prorogati di un anno. Dopo polemiche e discussioni arriva la tassa sulle auto di cilindrata medio-alta. La Panda è salva. Per le auto a basse emissioni incentivi fino a 6.000 euro.
Torna la web tax, resuscitata dall’accordo con l’Ue: 3% sul digitale per le imprese con oltre 750 milioni di fatturato di cui 5,5 almeno prodotti online. Riguarderà Google e Amazon e tutte le vendite online, la pubblicità, la trasmissione dati e le piattaforme digitali, quindi anche le imprese editoriali e alcune partecipate pubbliche.
Condoni, sgravi fiscali e l’esercito per le buche di Roma
La Lega porta a casa la sanatoria sui debiti fiscali e contributivi per chi è in difficoltà economica (o in liquidazione) e ha un Isee sotto i 20mila euro. Tre le aliquote con cui estinguere i debiti: 16%, 20% e 25%. La misura porta gettito nel 2019 e nel 2020 ma in 5 anni costa mezzo miliardo. Le partite Iva possono aderire ad un regime forfettario del 15% (è una prima flat tax per gli autonomi) sui ricavi fino a 65mila euro e del 20% sulla quota eccedente fino a 100mila euro. Altro tema caro alla Lega, gli appalti senza gara, inserito e stralciato in varie bozze, trova finalmente collocazione. La soglia sarà doppia: la pubblica amministrazione potrà affidare lavori diretti nelle opere tra 40mila e 150mila euro. Tra 150 e 350mila sarà invece possibile procedere «previa consultazione di tre o più operatori economici». Aumenta al 40% lo sconto Imu sui capannoni: la deducibilità dei beni strumentali raddoppia rispetto al precedente 20%. Il M5s aveva tentato, fallendo, un blitz al Senato per salire al 50%.
Per chi reinveste gli utili in azienda in beni strumentali o posti di lavoro l’Ires scende dal 24 al 15%. Le imprese devono però dire addio ad oltre 2 miliardi di incentivi dell’Aiuto alla crescita economica e al taglio fiscale previsto con l’introduzione dell’Iri. Il credito d’imposta su ricerca e sviluppo viene praticamente dimezzato, così come viene ridimensionato il superammortamento.
Il fondo per il ristoro degli obbligazionisti colpiti dai crack bancari si apre anche agli azionisti, salendo a 1,5 miliardi in tre anni. Per ottenere l’indennizzo non si dovrà più dimostrare il misselling di fronte all’Arbitro Consob, ma fare richiesta direttamente al Mef, dove si prenderà carico dell’istanza una Commissione di nove saggi. Verrà data priorità ai risparmiatori con Isee sotto la soglia dei 35mila.
La manovra introduce una modifica del trattamento contabile di perdite e svalutazioni dei crediti che portano ad un incasso per lo Stato di 3,5 miliardi. Le assicurazioni invece dovranno fare i conti con un aumento degli acconti fiscali da 900 milioni.
Alla fine il M5s ottiene lo stanziamento di 75 milioni per risanare le strade di Roma, operazione a cui potrà essere chiamato a partecipare anche l’esercito, e 145 milioni per le linee della metropolitana. 900 milioni per la Milano-Monza: la Lega non è da meno e raggiunge lo scopo di finanziare fino al 2027 il prolungamento della linea M5. I turisti che non pernottano a Venezia e che quindi non pagano la tassa di soggiorno dovranno comunque versare un ticket da 2,5 a 5 euro.
Le reazioni e gli scenari futuri
La discussione di questi mesi ha evidenziato tutte le ambiguità, l’ipocrisia e le falsità propagandistiche del governo giallonero, ma anche quelle dei loro oppositori, il Pd in testa, la Commissione di Bruxelles e i rappresentanti delle forze economiche e finanziarie dominanti. I dirigenti del Pd sono sembrati ossessionati dalla difesa ad oltranza delle regole liberiste e delle politiche di austerità; la Lega esprime una piccola e media borghesia, avida, rancorosa, guidata da un personaggio cinico, seminatore di odio e razzismo; il M5s è subalterno alla Lega con un ceto politico supponente e inadeguato.
Il giorno dopo il leader della Lega assicura che «è solo l’inizio». Ma il 2019, visto da ambienti della maggioranza, parte in salita. Sia per gli strascichi che tre mesi di tira e molla e litigi lasciano nel governo. Sia perché quelli che il leader M5s derubrica a «effetti» della legge di bilancio, ossia le norme su «quota 100» e reddito di cittadinanza, sono in realtà una partita tutta nuova, già carica di tensioni. Con Salvini che chiama i suoi e annuncia di essere «in campagna elettorale».
I fronti aperti sono diversi: in manovra ci sono norme volute da M5s che poco piacciono alla Lega e viceversa. Nicola Morra, presidente pentastellato della commissione Antimafia, lancia l’allarme su una norma leghista per alzare la soglia per l’affidamento diretto di appalti pubblici. Mentre in casa M5s cresce in queste ore il timore che gli alleati lavorino per cambiare la misura di bandiera, il reddito di cittadinanza, che Di Maio inserisce nell’elenco delle cose «fatte» ma che deve essere ancora decretata. I soldi ci sono e la misura partirà «a marzo», dice Di Maio. E sul blog M5s compare un calcolo «a prova di studente delle elementari e giornalista» che proverebbe che 7,1 miliardi bastano a coprire la misura. Ma nel governo c’è chi continua a sostenere che sarà difficile far quadrare conti e tempi, dal momento che quei soldi servono anche per pensioni di cittadinanza e centri per l’impiego: si dovrà restringere la platea o rinviare la misura. La campagna elettorale da avversari per le europee, sostengono, allontanerà i due leader. Salvini, in videoconferenza con Berlusconi e Giorgia Meloni sigla l’accordo sul candidato unico alle regionali in Abruzzo e a gennaio, annuncia, la Lega riparte su legittima difesa e autonomia per le regioni del Nord. Ma su entrambi i temi leghisti in casa M5s c’è chi frena.
Se si sommano le nuove tensioni con i tecnici del Mef, i maldipancia tra i parlamentari M5s e Lega che si sono viste respinte le loro proposte e le ricorrenti voci di rimpasto, l’inizio d’anno s’annuncia intenso. Salvini suona la carica di un «governo con le palle» e annuncia un ribaltone sovranista in Europa. Di Maio è in ritiro natalizio con Di Battista, di ritorno dal Guatemala che però non si sbilancia sull’ipotesi di una sua candidatura alle europee.
«Da troppi anni la politica e i governi hanno dichiarato guerra ai più giovani: precarietà, tagli all’istruzione, al diritto allo studio, la mortificazione della ricerca, il blocco della assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, una forma di reddito da cui verranno esclusi – commenta il segretario di Sinistra Italiana e deputato di Leu, Nicola Fratoianni – e poi un futuro pensionistico di cui non si occupa nessuno e che i più giovani non vedranno, di questo passo, visto che le carriere lavorative discontinue li porteranno a lavorare fino ai 70 anni suonati per poter vedere pochi spiccioli. C’è una enorme questione generazionale da affrontare».
Il Pd chiama a manifestare davanti alla Camera il 29 dicembre quando il governo conta di approvare definitivamente la manovra. In un grottesco rovesciamento dei ruoli ora è il Pd a denunciare lo svuotamento della democrazia parlamentare, con una legge arrivata all’ultimo momento e senza tempo per esaminarla. In Aula é stato il Pd, stavolta, a gridare “onestà”. Se Martina chiama a scendere in piazza – come aveva fatto da reggente – il favorito nei sondaggi Nicola Zingaretti chiede una giornata di mobilitazione in tante piazze d’Italia. Il governatore del Lazio convoca «l’Italia migliore e nel nome della Costituzione prepariamo e indichiamo una strada nuova per un Paese vicino alle persone e contro l’arroganza di questi nuovi potenti». Sarà il 12 gennaio per spiegare «la follia della manovra», annuncia il presidente Orfini.