L’ennesimo bluff del governo giallonero si è giocato sulla pelle di chi è stato segregato sulla Sea Watch, come è capitato per la Diciotti. Mentre punta il dito contro i presunti affari delle Ong, il governo riapre i Centri di permanenza per il rimpatrio. Strutture che fruttano milioni ai gestori

Aveva iniziato nel maggio 2017 il ministro dell’Interno Salvini… ah no Minniti, scusate il refuso. Aveva cominciato dicendo che, per rispondere alle richieste dell’Ue, bisognava incrementare i rimpatri dei “clandestini”. E quindi riaprire i Cie (Centri di identificazione ed espulsione) – uno strumento fallimentare sin dal 1998 – strutture divenute oggi residuali. Gli alti costi di spesa, le rivolte continue che portavano a doverli chiudere per lunghi periodi, il rifiuto delle amministrazioni locali, avevano fatto sì che dei 14 centri esistenti ne restassero – parzialmente – in funzione soltanto 4. Quello di Roma (Ponte Galeria), in cui era agibile solo la sezione femminile, quelli di Torino (vedi Left del 7 dicembre 2018), Bari e Brindisi.
L’obiettivo di Minniti – che in questi giorni si mostra sempre più umanitario e antirazzista (nostalgia da Viminale?) – era quello di aprire centri di piccole dimensioni, uno per ogni regione, con standard di vita “più umani” e maggiormente efficienti (?). E, per dare il tocco finale di vernice alla proposta, i Cie erano diventati Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio). Ma quello che nel dl Minniti-Orlando era già nell’aria, ovvero diminuire il numero di aventi diritto alla protezione, bloccare gli sbarchi attaccando le Ong e stipulando accordi con il sedicente governo libico e con i trafficanti al suo soldo, ha visto col tweetministro in carica Matteo Salvini una accelerazione, con un incremento delle politiche repressive.
L’ordine del predecessore si sta eseguendo, hanno riaperto i battenti i Cpr di Caltanissetta (Pian del Lago) e di Potenza (Palazzo San Gervasio) e si lavora per ottenere risultati concreti prima delle elezioni europee. Nell’articolo 2 della legge Sicurezza approvata in Parlamento si porta da 90 a 180 giorni il tempo massimo di trattenimento per le persone che debbono essere identificate e rimpatriate. Come prevedibile, questo ha già scatenato…

Il 16 febbraio a Milano si svolgerà la manifestazione promossa dalla rete No Cpr contro l’apertura del Centro per il rimpatrio in via Corelli (ore 14,30 da Piazza Piola)

L’inchiesta di Stefano Galieni prosegue su Left in edicola dall’1 febbraio 2019 


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