Il Concordato con il Vaticano limita fortemente nelle indagini la magistratura italiana con il rischio di impedire l’esercizio dell’azione penale nei confronti dei sacerdoti sospettati di pedofilia e dei vescovi che insabbiano le denunce, con evidenti rischi per l'incolumità dei bambini che frequentano parrocchie, oratori, seminari minori, scuole cattoliche etc. La garanzia di impunità per i preti pedofili è intollerabile per un Paese laico e civile ed è ora che Stato e Chiesa ne prendano atto

Il 16 febbraio, cinque giorni prima del summit mondiale sulla pedofilia convocato in Vaticano da papa Francesco, l’ex cardinale Theodore McCarrick, già arcivescovo di Washington, è stato ridotto allo stato laicale. Un caso senza precedenti nei confronti di un porporato che fa seguito a un’altra rarità: il 28 luglio 2018 Bergoglio gli aveva infatti tolto il cardinalato. La sentenza definitiva della Congregazione per la dottrina della fede che ha riconosciuto McCarrick colpevole di crimini sessuali contro minori e adulti ha messo la parola fine alla sua poderosa carriera ecclesiastica. E la decisione di spretarlo, sottolinea il comunicato della Cdf emanato dalla sala stampa vaticana, è inappellabile, «non soggetta a ulteriore ricorso». Per il cardinale Daniel DiNardo, presidente della Conferenza episcopale Usa, il messaggio è chiaro: «Nessun vescovo, non importa quanto influente, è al di sopra della legge della Chiesa». Tutto qui. Per i vertici della Chiesa togliere la tonaca a un sacerdote che violenta delle persone è una condanna esemplare. E meno male che almeno in questo caso è avvenuto senza il vincolo del segreto pontificio che di norma pende sulle pronunce della Cdf con il risultato che ex preti con storie di violenza alle spalle se ne vadano in giro senza che nessuno abbia informato le autorità giudiziarie dei Paesi interessati. L’epilogo della vicenda di McCarrick è anche per altri motivi una storia interessante. Perché di solito la pena stabilita dalla Chiesa cattolica ai sacerdoti che violano le sue leggi interne consiste in un periodo di silenzio e preghiera in luoghi “protetti” lontano dai clamori mediatici. Cosa che infatti era stata disposta per l’ex cardinale dopo la punizione del 28 luglio scorso in attesa del giudizio definitivo della Cdf. Ma silenzio e preghiera è anche il modo in cui di norma il Vaticano «reagisce» pubblicamente alle notizie sui crimini compiuti da ecclesiastici. Silenzio e preghiera sono le parole usate da papa Francesco per commentare l’accusa – che gli era stata rivolta nell’agosto 2018 dall’ex nunzio vaticano negli Usa, monsignor Carlo Maria Viganò – di aver insabbiato per anni (fino al 2018 appunto) le denunce contro McCarrick. «Perché la verità è mite, la verità è silenziosa, la verità non è rumorosa» e quindi «il giudizio fatelo voi», ha detto Bergoglio il 3 settembre 2018 durante la sua omelia a Santa Marta.

Cosa ha indotto il papa a cambiare atteggiamento? E come si combinano il “silenzio e la preghiera” con i suoi frequenti proclami di «tolleranza zero»? Va considerato in primis che è prassi consolidata in Vaticano intervenire pubblicamente laddove non è più possibile celare e risolvere le situazioni di crisi nelle “segrete stanze”. Si spiegano così, ad esempio, oltre alle ripercussioni pubbliche del dossier Viganò su McCarrick, il secondo summit convocato in Vaticano dalla Santa sede in sette anni, a cui devono partecipare tutti i capi delle Conferenze episcopali del mondo. Inoltre, c’è dietro l’idea che dai peccati “Dio salva”, e che verso i peccatori vanno usati “misericordia e perdono”, perché «chi tra voi è senza peccato scagli la prima pietra». Questa doppia morale è da sempre l’asse portante nel modo in cui la Chiesa (non) affronta la pedofilia al suo interno, e affonda le sue radici nella confusione che fa tra reato e peccato. L’abuso, cioè «l’atto sessuale di un chierico con un minore», è ritenuto un delitto contro la morale, un’offesa a Dio, in violazione del sesto comandamento, e non la violenza efferata contro una persona. Di conseguenza la vera vittima sarebbe Dio e il peccatore (che sotto sotto per certa cultura è anche il bambino) secondo la visione degli appartenenti al clero, deve rispondere alla persona che rappresenta l’Altissimo in Terra (il papa), e non alle leggi della società civile di cui fa parte. Di tutto questo non tiene conto lo Stato italiano nel tenere in vita il Concordato rinnovato nel 1984 con il Vaticano, sebbene dal 1996 in poi la nostra legislazione in materia di reati a sfondo sessuale sui bambini (e le donne) abbia fatto enormi progressi. Con quali conseguenze per l’incolumità dei bambini che frequentano le parrocchie, gli oratori, i seminari minori e le scuole cattoliche?

Lo raccontiamo in questa storia di copertina, prendendo spunto dalla vibrante denuncia del Comitato Onu per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che il 7 febbraio scorso ha pubblicato il Rapporto in cui indica al nostro governo tutto quello che andrebbe fatto per dare piena attuazione alla Convenzione di New York ratificata nel 1989. Nell’indifferenza della stampa italiana, che ha dell’incredibile, sono state messe nero su bianco tutte le criticità derivanti dal Concordato che da un lato solleva i vescovi dall’obbligo di collaborare con l’autorità civile, e dall’altro come ci racconta l’avvocato Mario Caligiuri rappresentante legale di Rete L’Abuso, «limita fortemente nelle indagini la magistratura italiana con il rischio di impedire l’esercizio dell’azione penale nei confronti dei preti sospettati di pedofilia e dei “superiori” che trasferendoli di parrocchia in parrocchia consentono loro di rimanere in contatto con minori e di ripetere l’abuso». Questa garanzia d’impunità è intollerabile per un Paese laico e civile ed è ora che Stato e Chiesa ne prendano atto. Facciamo pertanto nostre le parole della pediatra e psicoterapeuta Maria Gabriella Gatti: «Rispetto a un delitto gravissimo e incredibilmente diffuso, così lesivo della realtà fisica e psichica dei minori non si può rivendicare una extraterritorialità o il diritto di difendere la sacralità, cioè la natura specifica, della dottrina che di fatto garantisce uno statuto speciale per i suoi ministri. I preti pedofili vivono su questa terra e devono rispettare le leggi della società in cui vivono, anche se sono convinti che le credenziali vantate rispetto alla sfera del trascendente consentano loro comportamenti caratteristici dei criminali e dei malati mentali».

L’editoriale di Federico Tulli è tratto da Left in edicola dal 22 febbraio 2019


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Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).