Condizioni instabili e di insicurezza prolungate sono la norma per i richiedenti asilo o titolari di protezione. In più quando arrivano in Italia trovano un ambiente in cui spesso sono rifiutati o aggrediti. Con il rischio di serie conseguenze psicologiche. Ma in tanti sono capaci di resistere e inventarsi un proprio posto nel nuovo “mondo”

O. è originario del Gambia, ha studiato e parla diverse lingue. Membro dei servizi segreti gambiani, nel 2012 si trova in Europa per lavoro. Accusato di collaborazione con l’opposizione, è costretto a restare fuori dal suo Paese, lasciando moglie e due figli. Vagabonda per l’Europa per oltre due anni, restando ai margini della società, vivendo per la strada e mangiando dalla spazzatura, finché non viene rintracciato dalla sorella che vive a Roma. Preoccupata per il suo stato di salute, lei lo porta a fare una visita medica al centro Samifo (Centro salute migranti forzati a valenza regionale della Asl Roma1/Centro Astalli). O. manifesta allucinazioni uditive (persone conosciute e sconosciute che lo deridono), isolamento e deliri persecutori; rifiuta il cibo dei familiari e si alimenta dalla spazzatura, forse per paura di essere avvelenato, le sue condizioni igieniche sono pessime. Ha reazioni aggressive soprattutto nei confronti delle forze dell’ordine, che gli rievocano il lavoro nei servizi segreti. Viene preso in carico presso il Samifo e, dopo diversi tentativi di terapia e ricoveri in ospedale, si riesce a costruire con lui un progetto di cura. Nel frattempo, O. ottiene la protezione e l’inserimento presso un centro di seconda accoglienza (Sprar) per disagio mentale. Effettua ora un progetto terapeutico-riabilitativo in strutture del Dipartimento di salute mentale della Asl Roma 1 e ha anche svolto un percorso di acquisizione di specifiche competenze nella ristorazione nell’ambito del progetto Fari (vedi box a pag. 58, ndr). La presenza della sorella, la relazione di fiducia con gli operatori del centro Samifo e la presa in carico sanitaria e psichiatrica hanno permesso a O. di migliorare la propria condizione di salute raggiungendo una soddisfacente stabilità psichica. Ma questo purtroppo non accade di frequente; spesso i bisogni primari dei richiedenti asilo o titolari di protezione (Rtp) vengono soddisfatti, ma non quelli di salute e sociali. Perché? E come possiamo intervenire?…

Rossella Carnevali è una psichiatra e psicoterapeuta. Ha partecipato al progetto Fari 1 (Formare assistere riabilitare inserire) di Roma. Il 7 aprile (ore 15) nell’ambito de Lo Spiraglio filmfestival, al Maxxi di Roma, sarà proiettato il docufilm fuori concorso “Reaching Terminus: vignettes of refugees’ daily life in Rome” che racconta attività realizzate nell’ambito del progetto Fari.

L’articolo di Rossella Carnevali prosegue su Left in edicola dal 5 aprile 2019


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