Per lo sviluppo della ricerca occorre una intelligenza non razionale, come dimostrano tanti casi, da Semmelweis a Einstein. E una capacità di immaginare ciò che non è mai esistito o non è mai stato visto

È l’invenzione intesa come «creazione e introduzione di un concetto, di un’idea o una tecnologia» il tema scelto per la 14esima edizione del National Geographic Festival delle Scienze che si svolge a Roma fino al 14 aprile. Lungo questo filo rosso, il festival si fa così anche occasione per celebrare tre importanti anniversari nella storia del genere umano: i 150 anni della tavola periodica, i 50 anni dal primo sbarco dell’uomo sulla luna e i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, forse il più grande inventore che la storia abbia mai conosciuto. Oltre ai diversi eventi a lui dedicati, l’intera struttura del festival sembra ispirarsi al genio creativo di Leonardo e alla sua interdisciplinarietà. Il programma si snoda infatti tra i vari campi della scienza, dall’astronomia alla biologia, dalla fisica alle neuroscienze, dalla matematica all’artificial intelligence, lasciando però ampio spazio anche alla letteratura, alla filosofia e all’arte, con spettacoli di musica, danza e teatro. Così, sullo sfondo del tema centrale “l’invenzione nella scienza”, si coglie l’invito ad una riflessione più ampia su quella che è una delle caratteristiche specie-specifiche più spiccate del genere umano. Se infatti l’invenzione è per la scienza il presupposto vitale per ogni sua evoluzione e sviluppo, essa permea tutte le attività umane, da quelle artistiche a quelle più direttamente legate alla sopravvivenza. Nella sua specificità, infatti, l’uomo non solo si diletta in attività creative, non-razionali e senza un fine utile immediato – dipingere nel buio delle caverne, costruire strumenti musicali, chiedersi di cosa sono fatte le stelle – ma trasforma anche i bisogni primari come il ripararsi dal freddo, l’abitare e il mangiare, in occasioni per realizzare le proprie esigenze di creatività e invenzione: dalla moda, all’architettura, alla cucina. Un tema davvero ambizioso e appassionante che in questa manifestazione viene investigato nel contesto della scienza da numerosi scienziati, filosofi, giornalisti, scrittori, artisti, tra cui anche due premi Nobel, un premio Pulitzer e la recente medaglia Fields italiana: il matematico Alessio Figalli. Un viaggio all’insegna dell’invenzione e allo stesso tempo un’opportunità per restituire alla scienza un’identità nuova, lontana dalla fuorviante associazione “scienza = fredda razionalità”.
A ben vedere le gambe su cui la scienza si muove, e si è sempre mossa fin dai suoi primi passi, sono due: la scoperta e l’invenzione. Due gambe che, come vedremo, hanno ben poco a che vedere con il cliché di scienza razionale, rigida e lucida. Nella scienza, scoperta e invenzione sono tra loro strettamente connesse, si alimentano l’un l’altra pur corrispondendo a due processi diversi: la scoperta è vedere qualcosa di sempre esistito, che non era mai stato visto prima, l’invenzione è creare qualcosa che prima non esisteva. La scoperta, quindi, di per sé…

L’articolo di Ilaria Maccari, Alessia Nota e Giulia Venditti prosegue su Left in edicola dal 12 aprile 2019


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