Davvero, non c'è bisogno di aggiungere altro. Riccardo Morpurgo amava tre cose su tutto: sua moglie, la sua famiglia e i suoi operai. Era presidente di una Srl di Senigallia proprietaria delle ex colonie Enel, un cantiere che è rimasto fermo per dieci anni sul lungomare. È stato strozzato dalle banche che, qui da noi, ancora, decidono se una ditta ha la dignità di rimanere in piedi o di fallire. Mentre loro non falliscono mai, le banche, così leggere nel prendere decisioni con i propri clienti eppure così puntuali quando c'è da accontentare quando c'è qualche socio importante o qualche amico che conta. Morpurgo ha provato a ritirare su il suo lavoro con il lavoro, ma in questo Paese il lavoro non basta se non hai qualche santo in paradiso, seduto su qualche poltrona da classe dirigente,  E poi non ce l'ha fatta più. E si è tolto la vita scrivendo questa lettera: «Una crudele, sfinente ed umiliante alternanza tra illusione e repentina disillusione, tra fiduciosa, e finalmente luminosa, speranza ed immediata cocente delusione, e così per anni, in attesa di una positività alla quale non credo più. [...] Quando, ad una precisa domanda, ho risposto “ Mi spiace, ma non so più cosa fare”, ho letto nei suoi occhi un lampo di terrore e nelle sue parole “Ma come, ingegnere, tu, che sei la nostra speranza” lo sconforto assoluto. Ho capito in quel momento che bisognava reagire: ed ho reagito, progettato, relazionato, mi sono umiliato sin dove non avrei mai creduto di dovere, potere e sapere fare, ancora progettato, ancora relazionato, ancora umiliato, ho sinanco ipotecato il futuro mio e della mia famiglia, ed inutilmente ho ancora proposto ciò che avrebbe positivamente risolto, solo lo si fosse voluto, e che ora, forse ma tardivamente, si dirà: GIUSTO! [...] Con il tragico, e certo insensato, gesto, spero finalmente di riuscire a risvegliare coscienze intorpidite ed animi accecati: mi rivolgo dunque ai responsabili, assolutamente irresponsabili, degli istituti di credito, ma anche ai pubblici Amministratori ed a chi, abusando del suo infimo potere, si arroga il diritto, tralignando la verità, di divertirsi giocando con la necessità, le ansie, le emozioni del prossimo, senza capacitarsi (FORSE) che il suo divertimento può essere recepito tragicamente da chi lo subisce, ed ancora a coloro che subiscono questa iniqua situazione avvolti nella loro assordante apatia ed indifferenza o, peggio, a coloro che la aggravano con la loro cinica e supponente cupidigia». Davvero, non c'è bisogno di aggiungere altro.

Davvero, non c’è bisogno di aggiungere altro. Riccardo Morpurgo amava tre cose su tutto: sua moglie, la sua famiglia e i suoi operai. Era presidente di una Srl di Senigallia proprietaria delle ex colonie Enel, un cantiere che è rimasto fermo per dieci anni sul lungomare. È stato strozzato dalle banche che, qui da noi, ancora, decidono se una ditta ha la dignità di rimanere in piedi o di fallire. Mentre loro non falliscono mai, le banche, così leggere nel prendere decisioni con i propri clienti eppure così puntuali quando c’è da accontentare quando c’è qualche socio importante o qualche amico che conta. Morpurgo ha provato a ritirare su il suo lavoro con il lavoro, ma in questo Paese il lavoro non basta se non hai qualche santo in paradiso, seduto su qualche poltrona da classe dirigente,  E poi non ce l’ha fatta più. E si è tolto la vita scrivendo questa lettera:

«Una crudele, sfinente ed umiliante alternanza tra illusione e repentina disillusione, tra fiduciosa, e finalmente luminosa, speranza ed immediata cocente delusione, e così per anni, in attesa di una positività alla quale non credo più. […] Quando, ad una precisa domanda, ho risposto “ Mi spiace, ma non so più cosa fare”, ho letto nei suoi occhi un lampo di terrore e nelle sue parole “Ma come, ingegnere, tu, che sei la nostra speranza” lo sconforto assoluto.
Ho capito in quel momento che bisognava reagire: ed ho reagito, progettato, relazionato, mi sono umiliato sin dove non avrei mai creduto di dovere, potere e sapere fare, ancora progettato, ancora relazionato, ancora umiliato, ho sinanco ipotecato il futuro mio e della mia famiglia, ed inutilmente ho ancora proposto ciò che avrebbe positivamente risolto, solo lo si fosse voluto, e che ora, forse ma tardivamente, si dirà: GIUSTO!
[…] Con il tragico, e certo insensato, gesto, spero finalmente di riuscire a risvegliare coscienze intorpidite ed animi accecati: mi rivolgo dunque ai responsabili, assolutamente irresponsabili, degli istituti di credito, ma anche ai pubblici Amministratori ed a chi, abusando del suo infimo potere, si arroga il diritto, tralignando la verità, di divertirsi giocando con la necessità, le ansie, le emozioni del prossimo, senza capacitarsi (FORSE) che il suo divertimento può essere recepito tragicamente da chi lo subisce, ed ancora a coloro che subiscono questa iniqua situazione avvolti nella loro assordante apatia ed indifferenza o, peggio, a coloro che la aggravano con la loro cinica e supponente cupidigia».

Davvero, non c’è bisogno di aggiungere altro.