È in corso dal 21 marzo 2018, ormai da più di un anno, il processo nei confronti di Gilberto Cavallini, ex Nuclei armati rivoluzionari, accusato di concorso nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, dove una bomba collocata nella sala d’aspetto di seconda classe causò 85 morti e 200 feriti. La più sanguinosa strage nella storia repubblicana.
L’accusa è di aver partecipato alla preparazione dell’eccidio, oltre ad aver fornito supporti e nascondigli per la latitanza in Veneto di Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, tutti e tre condannati in via definitiva per la strage, i primi due all’ergastolo e il terzo, minorenne all’epoca, a 30 anni.
Cavallini, 65 anni, detenuto a Terni in regime di semilibertà, già condannato per banda armata (nello stesso processo in cui vennero riconosciuti colpevoli Mambro e Fioravanti), ma soprattutto a otto ergastoli per altrettanti omicidi, tra cui quello del giudice Mario Amato (23 giugno 1980), fu l’ultimo di questa banda di terroristi a essere catturato, a Milano nel settembre 1983.
Dopo una prima archiviazione nel 2013, Gilberto Cavallini era tornato al centro delle attenzioni a seguito del dossier inoltrato alla magistratura nel luglio 2015 ed elaborato dall’Associazione dei familiari delle vittime, che aveva avviato un approfondito lavoro di ricerca, incrociando migliaia e migliaia di pagine di atti giudiziari, sempre analizzati separatamente e mai prima correlati fra loro, non solo relativi a Bologna, ma anche ai tanti processi per fatti di strage e terrorismo dal 1974 in avanti.
Questo dossier, in cui, oltre a mettere a fuoco il ruolo svolto nella strage da Cavallini, si denunciavano le strutture clandestine che avevano operato, i presunti mandanti, i finanziatori e i complici della strage, ha originato, come vedremo, ulteriori filoni di indagine, paralleli al processo in corso.
I fili di continuità tra estrema destra e 007
Dalle indagini e dal dibattimento in corso sono emersi importanti riscontri sui rapporti tra le vecchie organizzazioni stragiste, in primis Ordine nuovo, e i Nar. Conferme giunte anche dal recupero di un biglietto spedito a suo tempo da Carlo Maria Maggi, condannato all’ergastolo per la strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974), dove si parla di detonatori ed esplosivo T4 da consegnare proprio a costoro. Un dato oggettivo che confuterebbe l’immagine dei Nar come “spontaneisti armati”, evidenziando invece la realtà di terroristi legati alla vecchia guardia di On. Una conferma, invece, delle relazioni politiche tra esponenti di Avanguardia nazionale e Terza posizione è giunta dalle stesse parole di Roberto Fiore, fondatore di Terza posizione e attuale segretario nazionale di Forza nuova, che nella sua deposizione del 31 ottobre ha chiarito come uno dei massimi dirigenti proprio di Terza posizione, Beppe Dimitri, era anche di Avanguardia nazionale, legato a doppio filo a Stefano Delle Chiaie.
A parlare, infine, diffusamente dei rapporti assai stretti tra il neofascismo degli anni Settanta e Ottanta e i servizi segreti, è stata una figura di primo piano dell’eversione nera, Fabrizio Zani (già fondatore di Ordine nero, poi in Terza posizione e nei Nar), che nell’udienza, sempre del 31 ottobre, ha accusato i dirigenti di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, per la precisione Franco Freda, Stefano Delle Chiaie, Massimiliano Fachini e Paolo Signorelli, come organici ai servizi.
Una strage preannunciata
Grazie alla deposizione di Giovanni Tamburino, nei primi anni Ottanta giudice di sorveglianza nel carcere di Padova, si è anche tornati su un episodio decisamente inquietante del luglio del 1980. Giovanni Tamburino ha, infatti, raccontato come l’estremista di destra Vettore Presilio gli disse che, di lì a poco, sarebbe stato realizzato un attentato con una bomba «di cui avrebbero parlato i giornali di tutto il mondo», aggiungendo di essersi «rivolto ai carabinieri, dopo il colloquio con Presilio, per informarli delle sue dichiarazioni» e che, a quel punto, gli fu «suggerito di contattare i servizi, cosa che feci, rivolgendomi a quello che, all’epoca, mi pare fosse il capo o il vicecapo del centro di Padova», vale a dire Quintino Spella. Ora l’ex generale dei carabinieri, a quel tempo a capo del centro Sisde di Padova, è indagato per depistaggio dalla Procura generale di Bologna (oggi 90enne, non si è presentato all’udienza del 22 marzo, recapitando alla Corte un certificato medico, ndr)
Cavallini, Mambro, Fioravante, una girandola di versioni contraddittorie
Gilberto Cavallini si è sottoposto a tre lunghi interrogatori (il 30 gennaio, il 6 febbraio e il 6 marzo), sostenendo che il 2 agosto del 1980 si trovava a Padova con Fioravanti, Mambro e Ciavardini, e di essersi poi spostato al Lido di Venezia per «incontrare un conoscente, detto ‘il Sub’, a cui dovevo far filettare delle armi». «Non intendo rivelare il nome», ha aggiunto, negando che si trattasse di Carlo Digilio, detto ‘zio Otto’, l’armiere di Ordine nuovo, segretario del poligono di tiro del Lido di Venezia. «Tornai da loro dopo un’ora, un’ora e mezza o due». Una ricostruzione diversa da quella fornita da Valerio Fioravanti e Francesca Mambro che dissero che Cavallini aveva incontrato un certo ‘zio Otto’ il 2 agosto. Da parte sua, comunque, l’ex Nar ha confermato che Digilio e ‘zio Otto’ fossero la stessa persona, mentre Fioravanti disse che Cavallini lo aveva sempre negato. Parlando del ‘Sub’, Cavallini ha poi aggiunto: «Andai da lui una prima volta, forse non c’era e ritornai dopo. Ci andavo in media una volta a settimana. Non ricordo se quella volta lo trovai oppure no».
Non una novità questa girandola di versioni diverse. Così è stato, di volta in volta, nei diversi processi da parte di Cavallini, Fioravanti, Mambro e Ciavardini, con il rilascio di deposizioni sempre fra loro palesemente contraddittorie.
Per una breve sintesi, nei dibattimenti precedenti Valerio Fioravanti e Francesca Mambro sostennero di essersi trovati il 2 agosto a Treviso, ospiti di Gilberto Cavallini e della sua compagna Flavia Sbrojavacca. Mambro affermò di aver passato la giornata a Padova, Fioravanti a Treviso. Cambiò versione solo nel 1984 raccontando di aver accompagnato Cavallini a un appuntamento a Padova. «Con noi c’era Luigi Ciavardini», sostenne la Mambro. Fioravanti inizialmente lo escluse. Ciavardini, a sua volta, solo nel 1984 si allineò, ricordando di essere stato a Padova con i due, dopo aver affermato di essersi trovato ai primi di agosto a Palermo. Anche le vetture di questo viaggio da Treviso a Padova non combaciarono mai: una Bmw per Fioravanti, una Opel Rekord per la Mambro.
Le altre piste di indagine: i legami coi “servizi paralleli” e la P2
Gli avvocati di parte civile, riprendendo alcune ipotesi già avanzate nel dossier consegnato nel 2015 alla Procura della Repubblica, hanno nel frattempo presentato più memorie difensive per sollecitare nuove indagini. Tra le richieste di approfondimento è di particolare rilievo l’ipotesi che la base di appoggio degli stragisti si trovasse a Milano, in via Ofanto, presso la carrozzeria Luki di Simone Cosimo, un malavitoso che aveva fornito loro appoggi, dove il 26 novembre 1980, Gilberto Cavallini e Stefano Soderini uccisero, durante un controllo, il brigadiere dei carabinieri Ezio Lucarelli.
Si è anche chiesto di indagare su due altre vicende. La prima relativa all’identità dei tesserini dei carabinieri che furono trovati nel covo di Terza posizione di via Monte Asolone a Torino, uno dei quali sequestrato addosso a Cavallini. Tesserini dell’Arma che risultano provvisti di timbro a firma del comandante Giuseppe Montanaro, risultato affiliato alla P2 (tessera 906). La seconda rispetto alla ricostruzione delle utenze telefoniche indicate in una delle agende di Cavallini, dove compaiono due numeri di telefono «riservati e non rintracciabili», a disposizione esclusiva dei servizi segreti, che proverebbero il collegamento dell’ex Nar con questi ambienti ed in particolare con Adalberto Titta, personaggio legato alla struttura segreta “Anello”, una sorta di servizio parallelo, fondato nel 1944 da ufficiali della Repubblica di Salò, sopravvissuto con vari adattamenti, fino agli inizi degli anni Novanta. Dal canto suo Valerio Fioravanti durante la sua testimonianza nel nuovo processo ha detto di non «mettere la mano sul fuoco» per Cavallini in merito a suoi possibili rapporti con i servizi segreti.
Spunta un nuovo video dell’attentato
Il proseguimento di questo processo potrebbe riservare notevoli sorprese. La Corte ha chiesto di acquisire un filmato girato all’epoca da una televisione privata poco dopo lo scoppio in stazione, per verificare la presenza di esponenti neofascisti al momento della strage (la proiezione è prevista durante l’udienza del 22 maggio, ndr), fatto che emergerebbe in un altro video, un Super 8, che ha portato la Procura generale, sulla base di alcuni fotogrammi, a chiedere la riapertura delle indagini sull’ex esponente di Avanguardia nazionale Paolo Bellini.