Dal suo passato politico alle recenti dichiarazioni, emerge sempre più il lato liberale dell’ex ministro dello Sviluppo economico, appena eletto eurodeputato. Che a Left ribadisce però il bisogno di «un ruolo incisivo dello Stato dove ci sono esuberi e fallimenti di mercato»

Lo scoop, se così si può dire, è che Carlo Calenda si iscriverà al gruppo dei socialisti e democratici europei. Su questo punto il neoparlamentare Ue promotore del manifesto Siamo europei non aveva ancora sciolto la riserva fra i socialisti e il rassemblement dei lib-dem di Macron. Così spiega a Left lo stesso recordman di preferenze delle europee.

Anche se solo tre giorni prima del voto aveva detto in tv che il presidente francese è «un sovranista» perché «sull’immigrazione fa più o meno le stesse cose che fa Salvini, solo che le fa con il sorriso sulle labbra», Calenda sembra restare sulla scia del tormentone “da Macron a Tsipras” anche nel post-europee, un “campo largo” in cui tutti dicono di voler dialogare e continuare ad allargare. Ma quanto è largo questo campo? Molto largo, dal punto di vista delle opzioni strategiche e dei valori. Molto meno dal punto di vista dei consensi, ancora sotto il 30%.

Romano, classe ’73, Calenda è stato top manager Sky e Ferrari trascinato da Montezemolo nella breve avventura di Italia futura, quella che Crozza chiamava l’“Italia dei Carini”. Da lì l’approdo a Scelta civica fu naturale ma poi quell’area s’è frantumata tanto che qualcuno la ribattezzò “Sciolta civica”: 3,5 milioni di voti e il 10,5% nel 2013 che i sondaggisti ritengono travasati all’80% in M5s. Al momento dell’ognuno per sé Calenda sceglie l’orbita del Pd e diventa prima rappresentante permanente dell’Italia nell’Ue per conto del governo Letta, poi ministro con Renzi e Gentiloni allo Sviluppo economico, in pratica Yes Triv, Sì Tap, Certamente Ttip, Comunque Tav. Più che un campo largo sembra…

L’intervista di Checchino Antonini a Carlo Calenda prosegue su Left in edicola  giugno 2019


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