Il 21 giugno scorso siamo andati in edicola con una copertina illustrata da Fabio Magnasciutti dedicata a tutti coloro che non si vogliono abituare all'idea di dover convivere con le mafie. Ricordate la frase che il ministro Lunardi pronunciò nel 2001? «Con mafia e camorra bisogna convivere e i problemi di criminalità ognuno li risolva come vuole». Ebbene, noi riteniamo che questa mentalità sia purtroppo ancora radicata in una certa parte politica del nostro Paese e che oggi come allora sia condivisa anche all'interno del Palazzo. E che contribuisca a dar forza al potere mafioso. Rispetto a otto anni fa l'identikit del mafioso e la mappa del potere mafioso sono cambiati ma le conseguenze sul tessuto sociale del nostro Paese non sono meno devastanti. Ma c'è chi resiste e si ribella a questa idea inaccettabile di ineluttabilità. Scrive la nostra direttrice responsabile, Simona Maggiorelli, nel suo editoriale: La mafia più diffusa oggi non mette bombe, ma strangola silenziosamente la vita civile del Paese. Camorra, mafia e ‘ndragheta, le cui cosche proliferano anche fuori dalla Calabria sul modello delle attività in franchising. Si innestano sulla corruzione locale, vanno a braccetto con la politica “del fare”. Lo vediamo anche in queste settimane punteggiate di inquietanti casi di cronaca come quello che ha coinvolto Paolo Arata, arrestato con l’accusa di intestazione fittizia, con l’aggravante di mafia, corruzione e autoriciclaggio. La mafia è una formazione storica e come tale si può combattere. Il pericolo maggiore è tratteggiarla come potere invincibile e onnipotente, perché involontariamente si rischia di fare l’apologia del fenomeno che si vuole combattere. Anche sotto questo riguardo l’esempio di Peppino Impastato rimane un faro. «Con la sua Radio Aut agì un uso corrosivo della satira come critica del potere, come sarcasmo per desacralizzare l’autorità del capomafia, la percezione popolare della sua onnipotenza» scrive Giovanni Russo Spena. Anche per questo era una spina nel fianco per la mafia che lo uccise il 9 maggio del 1978. Oggi la sua lezione va rinnovata ad ogni livello. Nel segno della memoria di Impastato, di Pio La Torre e di tutti coloro che hanno coraggiosamente combattuto la mafia sono nate, sparse in tutta la penisola, esperienze importanti di opposizione e resistenza. A vari livelli. 

Perché la lotta alla mafia si fa nel sociale come racconta Sabrina Certomà che è andata nel rione Sanità per raccogliere la testimonianza attiva dei ragazzi che si sono ribellati alla camorra dando vita alla cooperativa La Paranza. E si combatte a livello culturale. Lo scrive Gaetano Savetteri, direttore della coraggiosa rassegna Trame sui libri contro la mafia che questo fine settimana torna in piazza a Lamezia Terme, come tenace espressione di una opposizione civile all’ndrangheta; parliamo di un festival che è riuscito a far rialzare la testa al Comune calabrese, tre volte sciolto per mafia, diventando fucina di resistenza e punto di riferimento per tanti giovani.

Ed ecco titolo e catenaccio in copertina CON LE MAFIE NON SI CONVIVE Storie di giovani e di associazioni, di magistrati e di semplici cittadini. Storie di quotidiana resistenza, non solo culturale, alla criminalità organizzata. Contro la quale il governo della “sicurezza” combatte solo a parole Tutto questo, non si capisce bene per quale motivo è risultato indigesto a qualche algoritmo di Facebook che oggi, improvvisamente, dopo cinque giorni dalla pubblicazione, ha eliminato dallo shop della nostra pagina ufficiale la copertina con la piovra del nostro Magnasciutti e il link alla versione digitale. Abbiamo chiesto spiegazioni fino a ora senza successo. Non è la prima volta che ci fanno uno scherzo del genere. Staremo a vedere.

Il 21 giugno scorso siamo andati in edicola con una copertina illustrata da Fabio Magnasciutti dedicata a tutti coloro che non si vogliono abituare all’idea di dover convivere con le mafie.

Ricordate la frase che il ministro Lunardi pronunciò nel 2001? «Con mafia e camorra bisogna convivere e i problemi di criminalità ognuno li risolva come vuole». Ebbene, noi riteniamo che questa mentalità sia purtroppo ancora radicata in una certa parte politica del nostro Paese e che oggi come allora sia condivisa anche all’interno del Palazzo. E che contribuisca a dar forza al potere mafioso.

Rispetto a otto anni fa l’identikit del mafioso e la mappa del potere mafioso sono cambiati ma le conseguenze sul tessuto sociale del nostro Paese non sono meno devastanti. Ma c’è chi resiste e si ribella a questa idea inaccettabile di ineluttabilità.

Scrive la nostra direttrice responsabile, Simona Maggiorelli, nel suo editoriale:

La mafia più diffusa oggi non mette bombe, ma strangola silenziosamente la vita civile del Paese. Camorra, mafia e ‘ndragheta, le cui cosche proliferano anche fuori dalla Calabria sul modello delle attività in franchising. Si innestano sulla corruzione locale, vanno a braccetto con la politica “del fare”. Lo vediamo anche in queste settimane punteggiate di inquietanti casi di cronaca come quello che ha coinvolto Paolo Arata, arrestato con l’accusa di intestazione fittizia, con l’aggravante di mafia, corruzione e autoriciclaggio.

La mafia è una formazione storica e come tale si può combattere. Il pericolo maggiore è tratteggiarla come potere invincibile e onnipotente, perché involontariamente si rischia di fare l’apologia del fenomeno che si vuole combattere. Anche sotto questo riguardo l’esempio di Peppino Impastato rimane un faro. «Con la sua Radio Aut agì un uso corrosivo della satira come critica del potere, come sarcasmo per desacralizzare l’autorità del capomafia, la percezione popolare della sua onnipotenza» scrive Giovanni Russo Spena. Anche per questo era una spina nel fianco per la mafia che lo uccise il 9 maggio del 1978. Oggi la sua lezione va rinnovata ad ogni livello. Nel segno della memoria di Impastato, di Pio La Torre e di tutti coloro che hanno coraggiosamente combattuto la mafia sono nate, sparse in tutta la penisola, esperienze importanti di opposizione e resistenza. A vari livelli. 

Perché la lotta alla mafia si fa nel sociale come racconta Sabrina Certomà che è andata nel rione Sanità per raccogliere la testimonianza attiva dei ragazzi che si sono ribellati alla camorra dando vita alla cooperativa La Paranza. E si combatte a livello culturale. Lo scrive Gaetano Savetteri, direttore della coraggiosa rassegna Trame sui libri contro la mafia che questo fine settimana torna in piazza a Lamezia Terme, come tenace espressione di una opposizione civile all’ndrangheta; parliamo di un festival che è riuscito a far rialzare la testa al Comune calabrese, tre volte sciolto per mafia, diventando fucina di resistenza e punto di riferimento per tanti giovani.

Ed ecco titolo e catenaccio in copertina

CON LE MAFIE NON SI CONVIVE

Storie di giovani e di associazioni, di magistrati e di semplici cittadini. Storie di quotidiana resistenza, non solo culturale, alla criminalità organizzata. Contro la quale il governo della “sicurezza” combatte solo a parole

Tutto questo, non si capisce bene per quale motivo è risultato indigesto a qualche algoritmo di Facebook che oggi, improvvisamente, dopo cinque giorni dalla pubblicazione, ha eliminato dallo shop della nostra pagina ufficiale la copertina con la piovra del nostro Magnasciutti e il link alla versione digitale. Abbiamo chiesto spiegazioni fino a ora senza successo. Non è la prima volta che ci fanno uno scherzo del genere. Staremo a vedere.