Il 6 febbraio 2026, segnatelo sull’agenda, sarà un venerdì ma, con buona pace dei Friday for future, tra Milano e Cortina verranno inaugurate le Olimpiadi invernali. Per quasi sette anni vivremo immersi nell’intreccio tra poetiche scioviniste e senso per gli affari di una grosse koalition nordista a cinque stelle, nel senso olimpico, che vede già protagonisti il sindaco Giuseppe Sala e il governatore Luca Zaia, a capo di una carovana Pd-Lega su cui vorrebbero saltare tutti, dal sindacato alla Regione Piemonte, dalle madamine alle categorie produttive comprese le imprese in odor di ’ndrangheta che “giù al Nord” già sguazzano da tempo. E i Cinquestelle, nel senso di Casaleggio stavolta, arrancano colpevoli di non aver voluto i giochi a Roma. La carovana Pd-Lega punta a incassare il massimo, Tav compresa, da questo “stato d’eccezione”. «È ciò che Giorgio Agamben, sulla scia di Carl Schmitt, definisce il contrario dello Stato di diritto – spiega a Left Andrea Natella, sociologo, esperto di guerrilla marketing – una situazione in cui il diritto, anche quello alla sicurezza del lavoro o alla trasparenza degli appalti, è sospeso in nome dell’emergenza». Olimpiadi, Expo, G8, G7, G20, mondiali di calcio. «L’eccezione del grande evento non è che un esperimento sociale perché quella sospensione del diritto diventi normale», aggiunge Luca Massidda, ricercatore di Sociologia dei fenomeni politici all’Università della Tuscia, ricordando l’accordo sindacale per il lavoro gratuito all’Expo2015.
Rispuntano volti dalle stagioni oscure di Italia 90 come quelli di Carraro e Montezemolo e mentre inizia il toto-nomi, dalle ore successive alla “vittoria”, gli altoparlanti del metrò milanese scandiscono il mantra: «Preparati a scendere in pista!». L’entusiasmo di Sala per Greta Thunberg è stato solo una parentesi verde fra l’Expo e le Olimpiadi. E, come per i mondiali di sci alpino del 2021, l’Italia “vince” grazie alle rinunce di candidature forti dopo referendum democratici che alle popolazioni alpine non è stato concesso di svolgere. «A Calgary, in Canada, il no ha stravinto con lo slogan “3 anni di festa 30 anni di debito”, perché loro i giochi li hanno già ospitati nel 1988», ricorda Rudi Ghedini, autore di Rivincite (Paginauno, 2018), una concatenazione di racconti all’incrocio fra sport, sto…
L’assegnazione dei giochi olimpici del 2026 a Milano e Cortina impone l’attenzione sui rischi che porta con sé un evento del genere: il lavoro precario, la scarsa sicurezza dei lavoratori, la poca trasparenza degli appalti. E, non meno importante, la violazione di aree montane protette
L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 5 luglio 2019