Che il Pianeta soffra di almeno tre crisi è evidente. La correlazione tra queste tre crisi è meno evidente. Ma non serve approfondire troppo per capire che, invece, sono drammaticamente interconnesse. Vediamole un momento:
Una crisi ambientale. L’aspetto climatico di tale crisi, strisciante da più di un secolo è reso ormai evidente e drammatico dai cambiamenti climatici in atto. Ma non c’è solo l’aspetto climatico, anzi. Ormai l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui abbiamo consumato tutte le risorse rinnovabili dalla Terra nell’anno, è sempre più vicino all’inizio dell’anno stesso. Ormai cade nel mese di luglio (dal 29 per la precisione ndr). Cioè tutte le risorse naturali che consumiamo da agosto a dicembre non si rinnovano. È come se voi aveste un deposito di 1.000 litri d’acqua. E ne consumate 200 l’anno. Ma ne arrivano solo 100 litri nuovi ogni anno. Così dopo il primo anno ne avrete solo 900. E il secondo anno che fate? Invece di cercare di consumare di meno ne consumate 250. E la perdita secca diventa di 150. E così alla fine del secondo anno vi ritrovate solo 750 litri. L’acqua finirà presto. È questo quello che stiamo facendo alla Terra. E pensate che l’Overshoot Day degli Stati Uniti è il 15 marzo. Cioè gli Usa consumano tutte le loro risorse rinnovabili nei primi 75 giorni dell’anno. Negli altri 290 consumano le “riserve” della Terra. Come nell’esempio dell’acqua.
L’Overshoot Day della Ue cade il 10 maggio. Quello del Ghana il 30 ottobre. Quello dell’Indonesia il 18 dicembre cioè è quasi in pareggio: è come se nell’esempio precedente si perdesse si è no 1 litro d’acqua l’anno. I 1.000 litri di partenza durerebbero molto di più. Ma il Ghana, l’Indonesia e gli altri Paesi “meno industrializzati” devono dare tanti litri a Usa e Ue per compensare il loro spreco. Chi è quindi in debito? L’Africa che conserva le sue risorse o l’Europa che le depreda? Ed ecco una prima correlazione con le crisi sociali e le relative crisi migratorie.
Una crisi sociale: possiamo vedere chiaramente una crisi sociale “interna” all’Italia e una “esterna”, cioè internazionale. È chiara la crisi sociale in Italia, resa esplicita dai “vaffa day” grillini ed esplosa con la propaganda della “Bestia” salviniana. Il tessuto sociale del Paese si sfalda, la sua eterogeneità diventa un problema e non un valore aggiunto, vengono a galla le contraddizioni. Esplodono le tensioni, l’ipocrisia e la violenza prima sopite. La competizione sociale viene esaltata, i penultimi incitati contro gli ultimi, la gratificazione sociale non passa per la felicità ma nel sapere che c’è qualcuno che sta peggio di te, qualcuno su cui sfogare le frustrazioni e lo stress di una vita difficile e inutilmente competitiva. E intanto il precariato dilaga, si arretra sul fronte dei diritti e le diseguaglianze aumentano.
Ma a livello internazionale è lo stesso: basta vedere cosa succede in Siria, Pakistan, Messico, Venezuela: la strategia è sempre quella di aizzare una parte contro l’altra, di provocare violenza e sopraffazione. E la crisi sociale non può che alimentare a sua volta la crisi ambientale, non è possibile, in clima di estrema competizione, violenza o addirittura guerra, impostare politiche di equa ripartizione delle risorse ambientali. D’altra parte la crisi ambientale porta a evidenti conseguenze sociali: si pensi alla competizione per la carenza di acqua o per le fonti energetiche, aspetti che non possono che creare insicurezza per il futuro e infelicità nel presente e quindi crisi sociale.
Una crisi economica. Il capitale basa il suo modello sociale sullo sfruttamento delle risorse del mondo, umane, ambientali, culturali. Le deve usare, tutte, per il continuo aumento dei suoi profitti e dei consumi. Le crisi economiche sono sempre state strutturali al capitale. L’attuale crisi economica globale, che ha ripercussioni importanti sulla qualità di vita dei cittadini, sulla loro percezione di sicurezza e felicità, non può non minare l’armonia sociale, e la capacità di crescere nella reciproca convivenza e rispetto. Le posizioni oltranziste prendono il sopravvento, la paura della povertà, del perdere la propria “posizione sociale” diventa preminente sugli altri valori che regolano i rapporti sociali. E la crisi economica si manifesta a diversi livelli, porta alla contrazione dei servizi, alla rinuncia ai diritti che non sono solo quelli primari ma che sono anche salute, tempo libero, felicità, cultura. Ma di questo parleremo ancora.
Tre crisi che quindi sono sintomi dello stesso male. Inutile affrontarle separatamente. Se la broncopolmonite vi provoca la tosse è inutile curare la tosse con uno sciroppo. Ed è altrettanto inutile curare la febbre provocata dalla broncopolmonite con la tachipirina. State curando i sintomi, la tosse, la febbre, non la malattia!
Per questo le crisi non vanno affrontate singolarmente con interventi settoriali. Per esempio non si può curare la crisi economica con la politica monetaria. Perché la “cura” potrebbe peggiorare la crisi sociale (come è successo negli ultimi anni). Va affrontata la malattia. Cioè va cambiato il modello sociale, valoriale e relazionale. Progressivamente. Tenendo conto per ogni intervento degli effetti che ha sul modello sociale e di sviluppo e quindi sulle tre crisi.
Come affrontare questi problemi perché non si rimanga nel campo della pura teoria? Quali sono le proposte che riescono a incidere complessivamente sul problema ?
Che sia uno dei compiti cui la politica ha abdicato? Ascoltare le sofferenze e i bisogni, capirne le implicazioni generali, proporre soluzioni organiche e di prospettiva ? Forse che intervenire un giorno in un verso e il giorno dopo nell’altro alla fine non parta risultati durevoli?