Un anno fa, in questi giorni, il Parlamento italiano si apprestava a discutere il primo decreto sicurezza dell’era Salvini. Il testo sarebbe divenuto legge dello Stato ad inizio dicembre ma già in quelle ore era chiaro che il suo impianto ideologico non avrebbe incontrato grossi ostacoli in aula. Già allora, come redazione di Left, aderimmo alla manifestazione Indivisibili, "Uniti e solidali contro il governo, il razzismo e il decreto Salvini", consapevoli che il decreto, in gran parte malscritto e inapplicabile, conteneva però la pericolosa capacità di fondere in un unico impianto ideologico quanto i precedenti provvedimenti simili sotto il governo Gentiloni, i decreti Minniti Orlando, avevano mantenuto separato. Le modalità di affrontare le difficoltà (non le emergenze) connesse all’immigrazione e quelle derivanti dalla povertà, dal disagio sociale, dalle anche se limitate forme di opposizione che si esprimevano contro l’allora governo giallonero trovarono con il decreto una loro coesione ideologica. La soluzione era “affrontare tutto come problema di ordine pubblico”. La manifestazione, peraltro non sostenuta da molte grandi organizzazioni e che ancora risentiva delle tante frammentazioni della sinistra in Italia, fu comunque enorme. Alla fine a Piazza San Giovanni, le parole di Mimmo Lucano sindaco deposto di Riace e simbolo dell’accoglienza, come quelle di Silvana Cesani, portavoce del Comitato che a Lodi impedì che gli alunni di genitori provenienti da paesi extraeuropei subissero discriminazione anche nell’accesso alla mensa, risuonarono come parole di speranza e di capacità di ricostruire uno spazio comune di lotta al razzismo e alle diseguaglianze. In un anno è accaduto di tutto, dopo la conversione in legge del primo decreto Salvini, l'ex ministro dell'Interno ha trovato il tempo di produrne un altro prima della crisi di governo che ha portato ad una nuova maggioranza parlamentare. Ma i decreti, pardon, le leggi, non sono state ancora intaccate. I danni prodotti dalle politiche leghiste si sono sommati a quelli derivanti dall’azione dei governi precedenti, da ultimo il Memorandum antimigranti fra Italia e Libia del 2017, appena tacitamente rinnovato - lo scorso 2 novembre - con vaghe promesse di modifiche e miglioramenti. Si continua a morire nel Mediterraneo Centrale, a sparire nei lager libici, a erogare fondi a Paesi utili per esternalizzare le frontiere. Gli stessi accordi di Malta e poi di Lussemburgo di cui abbiamo a lungo scritto sul nostro giornale, se da una parte garantiscono migliori possibilità di ripartizione dei richiedenti asilo che vengono salvati nel Canale di Sicilia, dall’altra rafforzano i poteri della cosiddetta Guardia costiera libica la cui zona Sar (Search and rescue) risulterà ancor più priva di possibilità di soccorso. E nulla sembra poter cambiare, nella fragilità degli equilibri politici, per le altre centinaia di migliaia di persone “irregolarmente” presenti in Italia non per loro volontà ma a causa di una legge fallimentare da abrogare come la Bossi Fini. Sembra impossibile parlare di regolarizzazione a regime per chi vive e lavora in questo Paese, di canali di ingresso regolari e di percorsi di accoglienza radicalmente diversi da quelli messi in piedi in passato dalle prefetture. Lo stesso sistema d’accoglienza che nei suoi punti di eccellenza è stato posto sotto attacco risulta oggi distrutto e depotenziato, col risultato di aver sbattuto per strada migliaia di persone che erano avviate verso percorsi di inclusione. Altro che aumentare la sicurezza. Che dire poi del “reato di solidarietà”? Certo almeno le Ong sono state ricevute al Viminale, il 25 ottobre, e questo è un primo passo per ristabilire relazioni, ma ci sono imbarcazioni ancora sotto sequestro, sono inalterate le multe previste dal “Salvini bis” ed è ancora in vigore, potenziato con gli accordi europei, il Codice di condotta di Minniti che limita l’azione delle navi di soccorso. Anche per questo invitiamo le nostre lettrici e i nostri lettori a partecipare alla manifestazione che sabato 9 novembre a Roma, con partenza dal Colosseo e arrivo a Piazza della Repubblica (un percorso insolito), porterà nelle strade della Capitale chi, da tutta Italia - raccogliendo la proposta di “Indivisibili e Solidali” che si è unita a quella del percorso di “Energie in Movimento”, una aggregazione legata soprattutto a chi si occupa di diritto all’abitare - chiede con forza, come noi di Left abbiamo fatto per primi (poi seguiti da altri giornali), che vengano abrogati i decreti sicurezza e le norme sue "gemelle", razziste e liberticide. Una proposta che qui potete leggere e di cui la manifestazione di sabato è un momento di ripartenza, nella certezza che o si riesce a coinvolgere quella parte ampia della società ancora silente o si perde tutti.

Un anno fa, in questi giorni, il Parlamento italiano si apprestava a discutere il primo decreto sicurezza dell’era Salvini. Il testo sarebbe divenuto legge dello Stato ad inizio dicembre ma già in quelle ore era chiaro che il suo impianto ideologico non avrebbe incontrato grossi ostacoli in aula. Già allora, come redazione di Left, aderimmo alla manifestazione Indivisibili, “Uniti e solidali contro il governo, il razzismo e il decreto Salvini”, consapevoli che il decreto, in gran parte malscritto e inapplicabile, conteneva però la pericolosa capacità di fondere in un unico impianto ideologico quanto i precedenti provvedimenti simili sotto il governo Gentiloni, i decreti Minniti Orlando, avevano mantenuto separato. Le modalità di affrontare le difficoltà (non le emergenze) connesse all’immigrazione e quelle derivanti dalla povertà, dal disagio sociale, dalle anche se limitate forme di opposizione che si esprimevano contro l’allora governo giallonero trovarono con il decreto una loro coesione ideologica. La soluzione era “affrontare tutto come problema di ordine pubblico”.

La manifestazione, peraltro non sostenuta da molte grandi organizzazioni e che ancora risentiva delle tante frammentazioni della sinistra in Italia, fu comunque enorme. Alla fine a Piazza San Giovanni, le parole di Mimmo Lucano sindaco deposto di Riace e simbolo dell’accoglienza, come quelle di Silvana Cesani, portavoce del Comitato che a Lodi impedì che gli alunni di genitori provenienti da paesi extraeuropei subissero discriminazione anche nell’accesso alla mensa, risuonarono come parole di speranza e di capacità di ricostruire uno spazio comune di lotta al razzismo e alle diseguaglianze.

In un anno è accaduto di tutto, dopo la conversione in legge del primo decreto Salvini, l’ex ministro dell’Interno ha trovato il tempo di produrne un altro prima della crisi di governo che ha portato ad una nuova maggioranza parlamentare. Ma i decreti, pardon, le leggi, non sono state ancora intaccate. I danni prodotti dalle politiche leghiste si sono sommati a quelli derivanti dall’azione dei governi precedenti, da ultimo il Memorandum antimigranti fra Italia e Libia del 2017, appena tacitamente rinnovato – lo scorso 2 novembre – con vaghe promesse di modifiche e miglioramenti.

Si continua a morire nel Mediterraneo Centrale, a sparire nei lager libici, a erogare fondi a Paesi utili per esternalizzare le frontiere. Gli stessi accordi di Malta e poi di Lussemburgo di cui abbiamo a lungo scritto sul nostro giornale, se da una parte garantiscono migliori possibilità di ripartizione dei richiedenti asilo che vengono salvati nel Canale di Sicilia, dall’altra rafforzano i poteri della cosiddetta Guardia costiera libica la cui zona Sar (Search and rescue) risulterà ancor più priva di possibilità di soccorso. E nulla sembra poter cambiare, nella fragilità degli equilibri politici, per le altre centinaia di migliaia di persone “irregolarmente” presenti in Italia non per loro volontà ma a causa di una legge fallimentare da abrogare come la Bossi Fini.

Sembra impossibile parlare di regolarizzazione a regime per chi vive e lavora in questo Paese, di canali di ingresso regolari e di percorsi di accoglienza radicalmente diversi da quelli messi in piedi in passato dalle prefetture. Lo stesso sistema d’accoglienza che nei suoi punti di eccellenza è stato posto sotto attacco risulta oggi distrutto e depotenziato, col risultato di aver sbattuto per strada migliaia di persone che erano avviate verso percorsi di inclusione. Altro che aumentare la sicurezza. Che dire poi del “reato di solidarietà”? Certo almeno le Ong sono state ricevute al Viminale, il 25 ottobre, e questo è un primo passo per ristabilire relazioni, ma ci sono imbarcazioni ancora sotto sequestro, sono inalterate le multe previste dal “Salvini bis” ed è ancora in vigore, potenziato con gli accordi europei, il Codice di condotta di Minniti che limita l’azione delle navi di soccorso.

Anche per questo invitiamo le nostre lettrici e i nostri lettori a partecipare alla manifestazione che sabato 9 novembre a Roma, con partenza dal Colosseo e arrivo a Piazza della Repubblica (un percorso insolito), porterà nelle strade della Capitale chi, da tutta Italia – raccogliendo la proposta di “Indivisibili e Solidali” che si è unita a quella del percorso di “Energie in Movimento”, una aggregazione legata soprattutto a chi si occupa di diritto all’abitare – chiede con forza, come noi di Left abbiamo fatto per primi (poi seguiti da altri giornali), che vengano abrogati i decreti sicurezza e le norme sue “gemelle”, razziste e liberticide. Una proposta che qui potete leggere e di cui la manifestazione di sabato è un momento di ripartenza, nella certezza che o si riesce a coinvolgere quella parte ampia della società ancora silente o si perde tutti.