I figli di immigrati che nascono, crescono e studiano in Italia rimangono stranieri fino alla maggiore età. Dopo di che possono avviare l’iter per ottenere la cittadinanza. Fino ad allora, come tutti gli stranieri, devono avere un permesso di soggiorno. In questi giorni si è molto parlato di Mario Balotelli bersaglio di cori razzisti da parte di ultrà veronesi che non hanno mai fatto mistero di essere nazifascisti. Anzi. Lo ostentano senza alcun problema allo stadio da un paio di decenni almeno. Non ci risulta che un solo ministro dell’Interno in tutti questi anni si sia mai preoccupato di mettere fine a quell’infame spettacolo fatto di braccia tese, stendardi lugubri e cori nostalgici identificando gli autori e dando il via alle doverose indagini della magistratura. Questo ovviamente vale anche per tante altre curve italiane notoriamente frequentate da squadracce di ultras neri: da quella della Roma a quella della Lazio, del Milan, dell’Inter e così via. Tornando a Balotelli, a proposito di ministri dell’Interno e di liaison con certi ultras, abbiamo tutti letto il commento di Salvini non proprio intriso di solidarietà nei confronti del calciatore del Brescia: «Un operaio dell’Ilva vale 10 Balotelli». Ancora una volta Salvini si è schierato adottando il metodo del coniglio: svicolando, a parole, altrove. E qui la migliore risposta viene da uno dei nostri lettori: «Salvini spieghi la flat-tax agli operai dell’Ilva». Ma non è tanto e solo di questo che vogliamo parlare nel numero che state per leggere. Già il solo fatto di aver dovuto aspettare la maggiore età per acquisire la cittadinanza, pur essendo Mario Balotelli nato a Palermo (ed essendo cresciuto e avendo studiato a Brescia), implica tutta una serie di disagi e discriminazioni odiose che lo rendono identico a tutti i 2G meno dotati di lui dal punto di vista calcistico. Come è noto, infatti, grazie (si fa per dire) alla pavidità della maggioranza che sosteneva il governo Gentiloni la legge sullo Ius soli si è vergognosamente incagliata in Parlamento. E lì giace, privando quasi un milione di giovani di un diritto innegabile. Impensabile che con il Conte Uno e Salvini vice primo ministro le cose potessero evolvere e che una legge di civiltà venisse approvata, più lecito invece aspettarsi qualcosa in più dal Conte Due. Se non altro nel segno della tanto declamata discontinuità. E invece? Invece con questo governo le cose per i figli di genitori stranieri nati in Italia sono destinate a peggiorare. Ce lo racconta in queste pagine Sergio Bontempelli che ha scoperto una circolare del Viminale, elaborata quando era in carica Salvini ed entrata in vigore nel settembre scorso quando agli Interni era già arrivata Luciana Lamorgese. Tutto è avvenuto lontano dai riflettori mediatici, per non dire in gran segreto. E cosa dice questa circolare? Dice in estrema sintesi che quel milione circa di neonati, bambini e adolescenti non potranno più avere automaticamente il permesso di soggiorno a tempo indeterminato, come accadeva finora. «Per ottenere il prezioso documento, dovranno avere gli stessi requisiti richiesti agli adulti che ne fanno domanda: un reddito sufficiente (ovviamente si fa riferimento al reddito dei genitori), e una “anzianità di soggiorno” di almeno cinque anni». Sì, avete capito bene, scrive Bontempelli e noi con lui. «Anche il bambino appena nato dovrà dimostrare di vivere in Italia da almeno cinque anni». Non è uno scherzo. «Significa che il bebè non potrà avere un permesso a tempo indeterminato, ma solo un documento con scadenza biennale: ogni due anni, dovrà chiedere (tramite i genitori) il rinnovo alla Questura». E se mancheranno i requisiti per il rinnovo, il bimbo rischierà l’espulsione. Questa storia ci porta a chiedere al ministro Lamorgese di correre presto ai ripari abbattendo il muro innalzato in faccia a quel milione di ragazzi dal suo predecessore che voleva «pieni poteri». Già, i muri. Evidentemente la caduta di quello di Berlino, come leggerete nello speciale per il trentennale e nello sfoglio di copertina, non ha dissuaso dal costruirne altri. Non ultimo quello, d’acqua, rappresentato dal Mediterraneo per i migranti in fuga da carestie, persecuzioni, povertà, guerre e desertificazioni. E qui siamo di nuovo a Salvini e a ciò che le sue sciagurate “politiche” stanno producendo sulla qualità della vita di tutti, non solo dei migranti e degli immigrati. Basti citare l’incipit di uno studio di Openpolis (consultabile su openpolis.it) che ha analizzato le conseguenze dei decreti “sicurezza” a un anno dall’entrata in vigore del primo: «Due, in particolare, gli effetti potenzialmente esplosivi. Da una parte l’aumento consistente del numero di irregolari, collegato all’abolizione della protezione umanitaria, diventa una vera e propria emergenza di cui occorrerà farsi carico. Dall’altra il taglio dei costi per la gestione dei centri di accoglienza crea non poche difficoltà nell’assegnare i nuovi bandi e favorisce il ritorno alla prassi disastrosa della concentrazione dei richiedenti asilo abbandonati nei grandi centri, ora senza più i servizi per l’integrazione nelle comunità locali. Una politica che in nome della sicurezza e del taglio agli sprechi rischia di produrre più illegalità e più emarginazione sociale, più sfruttamento e esclusione. I cui costi sono disseminati come tante bombe sociali innescate nei territori e nelle periferie delle città». Più chiaro di così. Due mesi fa, su Left del 6 settembre, auspicavamo che il nuovo governo come primo atto abolisse le due leggi “sicurezza”. In seguito, altri giornali hanno rilanciato il nostro appello. Noi oggi, con forza, torniamo a pretenderlo. Se accadesse nel trentennale dello sbriciolamento del Muro sarebbe un gesto più che simbolico, umano. [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale di Federico Tulli è tratto da Left in edicola dall'8 novembre

[su_button url="https://left.it/left-n-45-8-novembre-2019/" background="#a39f9f" size="7"]SOMMARIO[/su_button] [su_button url="https://left.it/prodotto/left-45-2019-8-novembre/" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]ACQUISTA[/su_button]

[su_divider text=" " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

I figli di immigrati che nascono, crescono e studiano in Italia rimangono stranieri fino alla maggiore età. Dopo di che possono avviare l’iter per ottenere la cittadinanza. Fino ad allora, come tutti gli stranieri, devono avere un permesso di soggiorno. In questi giorni si è molto parlato di Mario Balotelli bersaglio di cori razzisti da parte di ultrà veronesi che non hanno mai fatto mistero di essere nazifascisti. Anzi. Lo ostentano senza alcun problema allo stadio da un paio di decenni almeno. Non ci risulta che un solo ministro dell’Interno in tutti questi anni si sia mai preoccupato di mettere fine a quell’infame spettacolo fatto di braccia tese, stendardi lugubri e cori nostalgici identificando gli autori e dando il via alle doverose indagini della magistratura.

Questo ovviamente vale anche per tante altre curve italiane notoriamente frequentate da squadracce di ultras neri: da quella della Roma a quella della Lazio, del Milan, dell’Inter e così via. Tornando a Balotelli, a proposito di ministri dell’Interno e di liaison con certi ultras, abbiamo tutti letto il commento di Salvini non proprio intriso di solidarietà nei confronti del calciatore del Brescia: «Un operaio dell’Ilva vale 10 Balotelli».

Ancora una volta Salvini si è schierato adottando il metodo del coniglio: svicolando, a parole, altrove. E qui la migliore risposta viene da uno dei nostri lettori: «Salvini spieghi la flat-tax agli operai dell’Ilva». Ma non è tanto e solo di questo che vogliamo parlare nel numero che state per leggere. Già il solo fatto di aver dovuto aspettare la maggiore età per acquisire la cittadinanza, pur essendo Mario Balotelli nato a Palermo (ed essendo cresciuto e avendo studiato a Brescia), implica tutta una serie di disagi e discriminazioni odiose che lo rendono identico a tutti i 2G meno dotati di lui dal punto di vista calcistico. Come è noto, infatti, grazie (si fa per dire) alla pavidità della maggioranza che sosteneva il governo Gentiloni la legge sullo Ius soli si è vergognosamente incagliata in Parlamento.

E lì giace, privando quasi un milione di giovani di un diritto innegabile. Impensabile che con il Conte Uno e Salvini vice primo ministro le cose potessero evolvere e che una legge di civiltà venisse approvata, più lecito invece aspettarsi qualcosa in più dal Conte Due. Se non altro nel segno della tanto declamata discontinuità. E invece? Invece con questo governo le cose per i figli di genitori stranieri nati in Italia sono destinate a peggiorare. Ce lo racconta in queste pagine Sergio Bontempelli che ha scoperto una circolare del Viminale, elaborata quando era in carica Salvini ed entrata in vigore nel settembre scorso quando agli Interni era già arrivata Luciana Lamorgese.

Tutto è avvenuto lontano dai riflettori mediatici, per non dire in gran segreto. E cosa dice questa circolare? Dice in estrema sintesi che quel milione circa di neonati, bambini e adolescenti non potranno più avere automaticamente il permesso di soggiorno a tempo indeterminato, come accadeva finora. «Per ottenere il prezioso documento, dovranno avere gli stessi requisiti richiesti agli adulti che ne fanno domanda: un reddito sufficiente (ovviamente si fa riferimento al reddito dei genitori), e una “anzianità di soggiorno” di almeno cinque anni».

Sì, avete capito bene, scrive Bontempelli e noi con lui. «Anche il bambino appena nato dovrà dimostrare di vivere in Italia da almeno cinque anni». Non è uno scherzo. «Significa che il bebè non potrà avere un permesso a tempo indeterminato, ma solo un documento con scadenza biennale: ogni due anni, dovrà chiedere (tramite i genitori) il rinnovo alla Questura». E se mancheranno i requisiti per il rinnovo, il bimbo rischierà l’espulsione. Questa storia ci porta a chiedere al ministro Lamorgese di correre presto ai ripari abbattendo il muro innalzato in faccia a quel milione di ragazzi dal suo predecessore che voleva «pieni poteri».

Già, i muri. Evidentemente la caduta di quello di Berlino, come leggerete nello speciale per il trentennale e nello sfoglio di copertina, non ha dissuaso dal costruirne altri. Non ultimo quello, d’acqua, rappresentato dal Mediterraneo per i migranti in fuga da carestie, persecuzioni, povertà, guerre e desertificazioni. E qui siamo di nuovo a Salvini e a ciò che le sue sciagurate “politiche” stanno producendo sulla qualità della vita di tutti, non solo dei migranti e degli immigrati.

Basti citare l’incipit di uno studio di Openpolis (consultabile su openpolis.it) che ha analizzato le conseguenze dei decreti “sicurezza” a un anno dall’entrata in vigore del primo: «Due, in particolare, gli effetti potenzialmente esplosivi. Da una parte l’aumento consistente del numero di irregolari, collegato all’abolizione della protezione umanitaria, diventa una vera e propria emergenza di cui occorrerà farsi carico. Dall’altra il taglio dei costi per la gestione dei centri di accoglienza crea non poche difficoltà nell’assegnare i nuovi bandi e favorisce il ritorno alla prassi disastrosa della concentrazione dei richiedenti asilo abbandonati nei grandi centri, ora senza più i servizi per l’integrazione nelle comunità locali.

Una politica che in nome della sicurezza e del taglio agli sprechi rischia di produrre più illegalità e più emarginazione sociale, più sfruttamento e esclusione. I cui costi sono disseminati come tante bombe sociali innescate nei territori e nelle periferie delle città». Più chiaro di così.

Due mesi fa, su Left del 6 settembre, auspicavamo che il nuovo governo come primo atto abolisse le due leggi “sicurezza”. In seguito, altri giornali hanno rilanciato il nostro appello. Noi oggi, con forza, torniamo a pretenderlo. Se accadesse nel trentennale dello sbriciolamento del Muro sarebbe un gesto più che simbolico, umano.

L’editoriale di Federico Tulli è tratto da Left in edicola dall’8 novembre

SOMMARIO ACQUISTA

Scrivevo già per Avvenimenti ma sono diventato giornalista nel momento in cui è nato Left e da allora non l'ho mai mollato. Ho avuto anche la fortuna di pubblicare articoli e inchieste su altri periodici tra cui "MicroMega", "Critica liberale", "Sette", il settimanale uruguaiano "Brecha" e "Latinoamerica", la rivista di Gianni Minà. Nel web sono stato condirettore di Cronache Laiche e firmo un blog su MicroMega. Ad oggi ho pubblicato tre libri con L'Asino d'oro edizioni: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010), Chiesa e pedofilia, il caso italiano (2014) e Figli rubati. L'Italia, la Chiesa e i desaparecidos (2015); e uno con Chiarelettere, insieme a Emanuela Provera: Giustizia divina (2018).