Il 20 gennaio è stato aperto il Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) a Macomer in provincia di Nuoro. Si tratta del nono in Italia, e si sa già che il decimo sarà operativo da marzo a Milano (v. Left del 31 gennaio 2020, ndr). L’apertura del Cpr è stata presentata dal governo regionale come una scelta importante per rilanciare l’economia locale e indispensabile per disincentivare il flusso migratorio dei giovani harraga dall’Algeria verso le coste della Sardegna sud-occidentale. Si tratta di una rotta attiva da quasi un quindicennio e che conta circa 750 arrivi nel 2019. È un fenomeno ben noto e nonostante i toni allarmistici puntualmente utilizzati dai media locali difficilmente può essere definito un’emergenza.
Il nuovo Cpr isolano è principalmente destinato a trattenere proprio questi giovani, ma anche tutti coloro che per vari motivi non possono rinnovare il proprio permesso di soggiorno senza aver commesso alcun reato o chi, dopo avere già scontato un periodo di reclusione sarà nuovamente privato della libertà in vista del rimpatrio. A oltre dieci giorni dall’apertura del Cpr non sappiamo con certezza quante persone vi siano già state trasferite. Per ora è mantenuto il più stretto riserbo ed è di fatto impossibile per la società civile monitorare gli arrivi a causa dell’imponente dispiegamento delle forze dell’ordine a protezione dell’intera area.
Il Cpr di Macomer è un ex carcere chiuso dal 2014 destinato a “ospitare” fino a 100 persone. La gestione è affidata alla Ors Italia, filiale del Gruppo Ors, una multinazionale già attiva in Svizzera, Austria e Germania. L’affidamento a privati della gestione dei Centri per stranieri comporta spesso il prevalere delle logiche di mercato e si traduce nella riduzione della qualità dei servizi erogati e nella frequente violazione del rispetto dei diritti fondamentali delle persone ristrette. Questi timori sono alla base di un’interrogazione parlamentare del deputato Leu Erasmo Palazzotto che ha chiesto più controlli in particolare sulla Ors, affinché sia verificato il reale possesso dei requisiti richiesti per la gestione dei centri di grandi dimensioni e che l’obiettivo di massimizzazione del profitto non vada a discapito dei migranti e dei contribuenti.
Macomer è un Comune simbolo del fallimento della politica industriale sarda e luogo da cui in media fugge un abitante ogni due giorni e mezzo. L’annuncio dell’apertura del Cpr è stato accolto dagli amministratori locali come occasione di sviluppo per il territorio. Sperano infatti di far ripartire l’occupazione mediante i servizi di cui avranno necessità le persone trattenute nel Centro e dalle eventuali ricadute positive per l’arrivo di nuove unità delle forze dell’ordine.
Dalla minoranza del Consiglio comunale iniziano, però, a levarsi opinioni contrarie. Le proteste e le dimissioni di alcuni consiglieri minano il precario equilibrio dell’assemblea, già messo a dura prova dallo scandalo dello scorso ottobre sulla sanità nell’oristanese che aveva portato agli arresti domiciliari il sindaco di Macomer. Lo stesso che aveva condotto le trattative per l’apertura del Centro con l’ex ministro dell’interno Minniti e con il governo regionale e che aveva ottenuto uno stanziamento per la sicurezza del territorio diretto alla videosorveglianza e all’illuminazione di alcune zone adiacenti al Cpr e rassicurazioni sulla riapertura della locale caserma della Guardia di Finanza.
Nemmeno l’approvazione del decreto sicurezza Salvini che ha abolito la protezione umanitaria e aumentato i tempi di trattenimento ha fermato la macchina organizzativa. C’è chi all’interno del consiglio comunale palesò all’ex ministro leghista e vice premier una preoccupazione per il possibile venire meno del requisito del rispetto della dignità umana all’interno del Cpr.
Ma si è rivelata una controversia passeggera.
Dovrebbe essere ormai noto che le strutture di detenzione amministrativa per stranieri, sin dalla loro istituzione alla fine degli anni Novanta, si sono dimostrate inutili e costose per le collettività che le ospitano e luoghi di sofferenza e di violazioni di diritti per le persone trattenute. Ciononostante l’apertura del Cpr può contare sul favore di quella parte dell’amministrazione locale che si illude che ad essa possa seguire il risveglio economico del territorio. Ma la realtà sarà ben diversa e i rappresentati della comunità macomerese dovrebbero preoccuparsi non solo per la sicurezza dei propri concittadini, rassicurandoli sulla natura carceraria del nuovo centro, ma anche delle continue violazioni di diritti segnalate e accertate anche dai monitoraggi istituzionali e dovrebbero ritenersi responsabili per quanto accadrà nel centro che hanno accettato di attivare nel proprio territorio.
Esiste anche un variegato fronte del No al Cpr. Raccoglie non solo la parte di comunità preoccupata per la propria sicurezza ma anche parte della società civile sensibile alla salvaguardia dei diritti dei migranti e che inizia a organizzarsi per lottare contro l’apertura del Centro di Macomer e di tutti i Centri di detenzione per il rimpatrio.
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