Solo poco tempo fa, per contenere le proteste contro la Cina, era illegale coprirsi il viso con le mascherine. Ora Hong Kong vive una situazione paradossale. «Il virus non è sotto controllo e la gente è ancora più arrabbiata con Pechino. Questa crisi potrebbe dare nuova forza alla nostra protesta» dicono i giovani manifestanti

Revolution now, la rivoluzione è ora. A Hong Kong questo è uno degli slogan alla vigilia del 25 gennaio, capodanno lunare. Gremita di persone in corsa all’acquisto agli ultimi regali ai centri commerciali, la città non si ferma nemmeno nei tempi di crisi. Questa regione amministrativa speciale della Cina è in fermento dal 9 giugno 2019, quando sono iniziate le proteste contro la legge sull’estradizione. Anche se ridotte di numero, non si placano, nemmeno con la notizia della diffusione del coronavirus.
A celebrare il capodanno lunare manifestando, ci sono soprattutto coloro che vivranno quel 2047 da cinquantenni, l’anno in cui scadranno i termini dell’accordo con la Cina che per ora prevede il principio “un Paese, due sistemi”.

È la generazione 1997, soprannominata “maledetta”: i nati nell’anno in cui Hong Kong è passata dall’essere una colonia britannica a tornare sotto il controllo di Pechino.
Per capire dove si protesta in città, bisogna seguire le notizie sull’app Telegram, dove non si rischia di essere rintracciati.

Le manifestazioni degli ultimi mesi spesso non sono state autorizzate. Come anche quella del 26 gennaio che seguiamo vicino alla stazione metropolitana di Mong Kok. Siamo testimoni della violenza della polizia che butta addosso lacrimogeni e blocca i manifestanti in una strada per perquisirli. Coloro che combattono in prima linea dal 9 giugno scorso a Hong Kong si chiamano frontliner e aiutano anche nell’organizzazione delle proteste: comprano le maschere antigas contro i lacrimogeni soprattutto, trovano i medici e gli avvocati. Lavorano ogni giorno, e sabato e domenica protestano.
Due frontliner che combattono in prima linea sin dall’inizio, ci raccontano a che punto stanno le proteste e cosa cambia con il coronavirus.

Incontriamo Nico (nome di fantasia) nella penisola della città: Caolun. Ci conduce verso il tetto di uno dei grattacieli della zona spiegando che le precauzioni sono necessarie sia per la questione della sicurezza sia per allentare la possibilità di contagio dal coronavirus. «Sono un frontliner dai tempi della Rivoluzione degli ombrelli del 2014. Per combattere in prima linea devi essere pronto a essere arrestato o ferito…

Il reportage prosegue su Left in edicola dal 14 febbraio

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