Il virus in Cina sembra quasi domato. Il Paese ha dimostrato una straordinaria capacità di gestione dell’emergenza. Ecco cosa ci distingue e cosa possiamo imparare da loro

Lombardia chiama Wuhan. La ruota del contagio è girata. Dopo settimane nelle quali osservavamo gli avvenimenti cinesi a distanza, come fossero la Siria – appunto -, pensando che Wuhan era lontana e “quelle cose” da noi non accadono, ecco che poco a poco l’epidemia è arrivata alle nostre porte, nel nostro condominio. Per la prima volta, tutta l’Italia si trova in una emergenza senza precedenti, in cui l’unica richiesta da parte delle autorità è restare in casa, evitando spostamenti. E allora in tanti hanno ripreso a parlare di Wuhan e delle misure draconiane lì immediatamente adottate per il contenimento a casa di decine di milioni di persone. Sembrava impossibile arrivare a tanto. Eppure, adesso anche qui da noi, passo dopo passo, si reclamano a più voci misure ancora più stringenti.

Ci troviamo fra Scilla e Cariddi. Alla medicina si deve ubbidire, le scelte del chirurgo o del virologo non si trattano, si eseguono e basta. Ma le nostre libertà? E l’economia? Molti dicono che in Cina sono stati capaci di compiere queste scelte grazie al loro sistema politico. Il segreto è stato nel controllo capillare della popolazione, grazie alla tecnologia. Una funzione dell’onnipresente applicazione WeChat ha consentito di controllare in modo eccezionale ogni minimo spostamento della popolazione, consentendo così di rintracciare gli spostamenti di centinaia di milioni di persone. Seguendo gli infettati e potendo quindi raggiungere tutte le persone che erano entrate in contatto con loro.

Quanto sarebbe stato bello poterlo avere a Codogno! Eppure, tutto questo ha un costo sociale impensabile, ha il prezzo di…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 13 marzo 

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