Gabriele Romagnoli nella sua rubrica “La prima cosa bella” su Repubblica del 17 marzo parla dell’interpretazione dei sogni e di Marie-Louise von Franz (1915-1988). La psicoanalista tedesca naturalizzata svizzera allieva di Jung, studiò più di ogni altra cosa i sogni. Tra i tanti da lei raccontati in conferenze e interviste in relazione al tema della morte c’è quello fatto da una donna considerata affetta da un carcinoma terminale, a cui i medici avevano detto: “Andrà tutto bene”. La donna sognò che il suo orologio si era fermato. Lei l’aveva portato dall’orologiaio, ma lui glielo aveva restituito scuotendo la testa e dicendole che non poteva più essere riparato. Fu la paziente a interpretare il sogno: “Parla chiaramente dell’esito della mia malattia”. La dottoressa la ascoltò in silenzio, senza contraddirla. Ha raccontato questa storia quindici anni più tardi, in un documentario canadese. Alla fine ha aggiunto: “Quella donna è ancora viva. Incredibile. La mia spiegazione è che il sogno della fine abbia provocato uno choc alla sua mente, le abbia fatto affrontare il problema, causato una reazione, l’abbia salvata”.
Un altra ipotesi è che l’interpretazione del sogno della paziente non sia stata corretta. Due giorni dopo il primo sogno la donna ne fece un altro: sognò ancora che il suo albero preferito era caduto a terra. Romagnoli però, nella sua rubrica, non fa riferimento a questa circostanza. Se i sogni si riferiscono alla malattia psichica e non a quella fisica allora andrebbero interpretati nell’ambito della relazione terapeutica. L’orologiaio incapace è pertanto l’analista e l’orologio è fermo per la pulsione di annullamento che fa cadere l’albero cioè distrugge la vitalità. Le immagini oniriche della donna sono coerenti e creano una rappresentazione credibile della dinamica della malattia e della propria situazione interiore nonostante l’inerzia e l’assenza dell’analista. Ciò può aver contribuito a potenziare la reazione al tumore e a sfruttare al meglio le probabilità di guarigione. Forse quella dei medici non era stata solo una bugia pietosa. La von Franz che in età avanzata soffriva di un Parkinson pochi giorni prima di morire sognò che era completamente guarita. Negazione o bugia pietosa, detta a se stessa, che nascondeva una sofferenza mentale? Non sappiamo. Però sappiamo come la von Franz svolgeva le sue analisi. In un documentario dice testualmente: “Amo la terapia junghiana perché non determina nessuna ingerenza(…) non abbiamo alcuna teoria. Non crediamo che l’essere umano debba diventare normale. Se vuole restare nevrotico ne ha pienamente il diritto”. Ciò che conta è essere se stesso, cioè seguire il proprio destino. Questo era stato detto da Jung la cui matrice ideologica è l’ideologia volkish, la stessa da cui è derivato il nazismo: in base ad essa il popolo tedesco avrebbe dovuto seguire il proprio destino, la propria volontà di potenza. Ora mi si dovrebbe spiegare come uno schizofrenico possa seguire il proprio destino dal momento che nessuno si prefigge di modificarlo: dovrebbe arrendersi alla ineluttabilità della propria malattia che altera profondamente l’identità?
Non entro in merito allo spiritualismo astratto e religioso della von Franz che viveva in una torre come Jung e sognava che la medesima torre esisteva nell’aldilà. Pur essendo una persona con una grande cultura classica a me appare come analista molto inattendibile e la sua concezione dei sogni piuttosto discutibile, nonostante dica di averne ascoltati più di 60mila, dato che lei utilizzava prevalentemente l’interpretazione simbolica. Quindi quando Gabriele Romagnoli suggerisce più o meno apertamente che la psicoanalisi junghiana può aiutare a capire come potenziare le nostre capacità di reazione psichica all’epidemia, non va preso molto sul serio: anzi va guardato con molto sospetto. D’altra parte la condizione e la sanità mentale delle persone che contrariamente a quanto diceva la Von Franz esiste, è fondamentale per evitare, nell’Italia ai tempi dei bollini rossi e del contagio, le fughe dissociative al Sud, le negazioni clamorose come gli assembramenti ai Navigli e nei parchi, le chiese aperte e gli appuntamenti nei supermercati: seguire il proprio destino, essere narcisisticamente se stessi, non può significare condannare a morte gli altri.
La sanità mentale, d’altra parte, è molto distante delle reazioni paranoiche e naziste di Boris Jonshon che avrebbe voluto lasciare gli infettati proprio al loro destino e quelle di Donald Trump che voleva utilizzare il vaccino dell’influenza contro il Coronavirus. In fondo, avrà pensato il tyicoon nella sua abissale ignoranza, questi virus si assomigliano tutti come hanno detto coloro (anche virologi italiani) che hanno equiparato il Covid-19 all’influenza. Ma si può lasciare ai criminali e agli incompetenti la libertà di essere se stessi?