Inutile illudersi: il Covid-19 rimarrà fa noi, come insegna il fatto che c’è ancora la peste. Quindi, come Godot, il tanto atteso momento del contagio zero non arriverà. Per uscire dalla fase 1 ogni soluzione deve quindi prevedere una sanità pubblica pronta ad affrontare il virus e un modello socio-economico diverso da quello che ha provocato la crisi

Vi sono segnali che inducono a pensare che, in Italia, la crisi epidemica più grave dal dopoguerra stia passando. Mi riferisco in particolare al fatto che da qualche giorno il tasso di nuovi ricoveri in malattia intensiva sembra rallentare; e questo è quello che ci serve, perché il grosso dei morti di questo orribile periodo ha a che vedere anche con l’inevitabile e previsto collasso del sistema sanitario, inadatto a fronteggiare un’epidemia seria.

La reazione a questo rallentamento è tuttavia poco razionale: dopo la fantomatica ricerca di inesistenti picchi (che non esistono in una curva prodotta da dati rumorosi e composti di tantissimi effetti diversi) oggi ci si è spostati a scrutare il futuro per individuare la data del giorno a “contagio zero”. Ho una notizia per voi: è ancora una volta un esercizio inutile. Per vari motivi: innanzitutto, perché un giorno senza contagi non preclude al fatto che il giorno dopo ve ne saranno. In secondo luogo – e questo è il punto importante – perché stiamo parlando di un sistema darwiniano in rapida evoluzione. Il virus rimarrà, come insegna il fatto che la peste sia ancora fra noi: ogni soluzione deve quindi prevedere il fatto che dovremo convivere con questo e con tantissimi altri nuovi parassiti emergenti.

Attenzione: questo significa anche che farmaci e vaccini saranno – come sono sempre stati – una soluzione tanto più utile quanto meglio saranno disegnati, tenendo conto della capacità mutazionale dei coronavirus e degli altri patogeni all’orizzonte; ma rischiano comunque di essere soluzioni temporanee (anche se magari su tempi lunghi, va detto). In questo senso, quei farmaci che agiscono su di noi, invece che sul virus – abbattendo per esempio l’infiammazione anomala causata dal virus – potrebbero essere fondamentali perché, non esercitando pressione selettiva sul virus, non ne selezionano ceppi mutati che eliminino la risposta farmacologica (come invece accade per ogni antivirale).

Ma perché improvvisamente dobbiamo preoccuparci di…

 

* Enrico Bucci, Ph.D. in Biochimica e Biologia molecolare, è professore aggiunto alla Temple University di Filadelfia (Usa). Si occupa di dati biomedici, frodi scientifiche e biologia dei sistemi complessi

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 10 aprile 

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