Gli eroi degli ospedali, gli angeli dei pazienti, addirittura i santi. Parole profondamente sentite dalla gente sulla scia di un’onda di calde emozioni. 116 medici morti, 29 infermieri e 5 ausiliari, 15.891 sanitari positivi cioè malati. Una mattanza. Perché solo una piccolissima parte di questi numeri era davvero inevitabile. Evitabili tutte le altre morti se ci fosse stata disponibilità di materiale di protezione, sensato utilizzo dei tamponi e corretta gestione della situazione. Responsabilità istituzionali concrete, vere e, volendo, perfettamente individuabili; compreso il livello politico che cerca, come sempre, di autoassolversi. Troppo comodo scindere il concetto di decisione da quello di responsabilità. Angeli, eroi e santi diventano però termini fuorvianti se, come spesso accade, allontanano dalla conoscenza della realtà. Morti sul lavoro, evitabili come migliaia di altre in Italia. Da qui l’ignobile emendamento al decreto Cura Italia, di Lega, poi forzatamente ritirato, ma anche del Pd, di depenalizzare le responsabilità dei fatti occorsi in questa epidemia per i vertici di Asl e ospedali e per il livello politico regionale.
Gli operatori sanitari non sono eroi ma persone normalissime che fanno un lavoro spesso speciale e che può richiedere un particolare coraggio. La spontaneità dei comportamenti ha dato a molti un senso di sicurezza palese, tangibile e vera che ha non poco contribuito a far meglio vivere questa incredibile situazione. I comportamenti eroici sono isolati ed eccezionali. La risposta all’emergenza è stata invece compatta, immediata e ovvia pur sapendo perfettamente i rischi connessi nell’affrontarla. È però inaccettabile che questi rischi siano stati grandemente aumentati per l’incapacità dell’alta dirigenza. Avrebbero potuto fermarsi e pretendere migliori condizioni di sicurezza; cosa neppure pensata per il costo in vite umane; puro senso di responsabilità; una risposta elementarmente umana ed etica; un movimento sconosciuto a chi ancora oggi lesina protezioni e tamponi pensando a nascondere ben altro.
L’epidemia ha fatto precipitare sotto la soglia di normalità la sicurezza degli operatori sanitari è quindi, inevitabilmente, anche quella dei pazienti. Ovvero c’è una maggiore e inevitabile possibilità di commettere errori a causa delle condizioni estreme in cui si è costretti a lavorare. A questo si aggiunge il dramma estremo di dover a volte scegliere, in carenza assoluta di letti, quali pazienti ricoverare in TI e quali no. Evidente che lasciare questa drammatica, temporanea e inevitabile situazione perseguibile legalmente potrebbe far saltare il sistema perché metterebbe in piena crisi una parte fondante dell’operato dei medici. Da parecchi giorni ormai è tornato a galla, più accentuato e velenoso che mai, lo spregevole fenomeno della pubblicità da parte di soggetti di varia natura che invitano i parenti di pazienti deceduti a fare causa a medici ed ospedali se ritengono, anche senza reali prove oggettive, che il decesso sia dovuto a qualche presunto errore medico. Il tutto gratis eccetto una percentuale sulla somma eventualmente percepita a fine processo. Allettante per alcuni il ragionamento: vale la pena di provarci, non c’è niente da perdere e semmai tutto da guadagnare. La cosa ha da sempre sui medici un effetto devastante perché innesca una spirale incontrollata di paura, insicurezza e sospetto nei confronti dei pazienti che sfocia nella medicina difensiva. Ovvero l’evitare il più possibile pazienti rischiosi e prescrivere esami, farmaci e consulenze non indispensabili solo per poter eventualmente dimostrare, in caso di denuncia, che è stato fatto il possibile per il paziente. In realtà comportamenti che non giovano a nessuno ma generano invece rischi aggiuntivi e non percepiti. I medici sanno benissimo di poter commettere errori e cercano sempre accuratamente di evitarlo. Ciò che i medici temono di più è l’essere accusati ingiustamente nonostante abbiano fatto tutto il possibile per il paziente e per evitare di sbagliare.
È la denuncia che fa scattare il vissuto sempre destruente a prescindere da come, dopo molti anni, andrà a finire il processo. Un vissuto lacerante che lede irrimediabilmente il rapporto con i pazienti ed il modo stesso di fare il medico e vivere la medicina. Distrugge quel quid indefinibile e personale ma di enorme valore che non è dovuto ma quasi sempre dato, che non può essere imposto e che ogni paziente silenziosamente in mille modi sempre chiede. Si chiama rapporto medico paziente ed è solo ed esclusivamente rapporto interumano. Temere che ognuno di quelli che stai curando ti può rovinare la vita professionale e privata, a prescindere dalla ragione o dal torto, lo compromette irrimediabilmente. È questo ciò che tutti dovrebbero sapere. Profondissimo quindi il malessere che da anni serpeggia tra i medici; sopito dall’epidemia ma ora bruscamente risvegliato dai comportamenti scellerati e vigliacchi di alcuni. Si era giustamente pensato ad una copertura legale che tutelasse i medici per il solo periodo epidemico a seguito delle drammatiche condizioni in cui sono costretti a lavorare; non una impunità o una autorizzazione a sbagliare ma una misura coerente alla eccezionalità delle condizioni. Non se ne è fatto più nulla perché era legata a quella, di ben altro significato, degli amministratori e dei politici; si vedrà in seguito è stato detto, con calma; forse. Queste le realtà in cui inquadrare il termine, altrimenti un po’ vuoto, di eroi.
Nonostante tutto questo la maggior parte dei sanitari continuerà a fare come sempre hanno fatto pur sapendo perfettamente che, finita questa bufera, eroi ed angeli saranno presto dimenticati e loro torneranno ad essere sconosciuti, insultati, aggrediti anche fisicamente, denunciati ingiustamente e pagati quattro soldi. Finché non si raggiungerà l’estremo limite di rottura e qualcuno si sorprenderà. Il personale sanitario è la componente più preziosa, delicata e meno sostituibile dei sistemi sanitari perché non sono le macchine, le linee guida o i farmaci che curano veramente ma l’uso che ne fanno gli uomini con il sapere intelligente ed il rapporto con i pazienti. Da decenni le professioni sanitarie sono state profondamente lese, indebolite, abbandonate ed a volte anche umiliate sia dalle istituzioni che dai tanti singoli opportunismi; sempre però pretendendo di salvare a tutti la vita. C’è qualche cosa che non va in questa storia.
Quando sarà finita ricordiamoci di tutto questo; quando chi ha fatto, per interesse, questi immensi danni alla sanità, cioè anche ad ognuno di noi, farà finta di cambiare affinché tutto resti come prima. Pessimismo? No; realismo e realtà vere contro cui ancor più strenuamente dovremo resistere e lottare.
Quinto Tozzi, cardiologo; già responsabile di terapia intensivista cardiologica; già direttore ufficio Qualità e rischio clinico dell’Agenzia sanitaria nazionale (Agenas)