In che modo, da quando l’Italia è zona rossa, è garantito il diritto alla salute dei migranti forzati? Essendoci l’obbligo di restare nei Centri di accoglienza come si fa ad accedere a cure generiche o all’assistenza ginecologica o psichiatrica? Ne abbiamo parlato con gli operatori del centro Samifo della Asl Roma 1

«Migranti e rifugiati sono vulnerabili in modo sproporzionato rispetto al rischio di esclusione, stigma e discriminazione, in particolare quando privi di documenti. I governi adottino un approccio inclusivo capace di proteggere i diritti alla vita e alla salute di ogni singolo individuo, per scongiurare una catastrofe e contenere la diffusione del virus». Con un intervento congiunto che ha pochi precedenti, le Nazioni Unite (tramite l’Agenzia per i rifugiati Unhcr), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l’Organizzazione mondiale della sanità hanno richiamato in questo modo la comunità internazionale al rispetto dei diritti delle persone che in tempo di pandemia si trovano costrette ad abbandonare il proprio Paese e a intraprendere un viaggio verso nuove terre, nuovi continenti. «È di vitale importanza assicurare che tutti, migranti e rifugiati compresi, possano accedere in modo paritario ai servizi sanitari e – proseguono le tre organizzazioni – siano inclusi efficacemente nei piani nazionali di risposta all’emergenza Covid-19, incluse le misure di prevenzione e la possibilità di sottoporsi a esami clinici e terapie. Tale inclusione permetterà non solo di proteggere i diritti di rifugiati e migranti, ma anche di tutelare la salute pubblica e contenere la diffusione globale di Covid-19».

Di fronte a queste raccomandazioni ci siamo chiesti se e in che modo in Italia, da quando è zona rossa, è garantita la tutela del diritto alla salute dei migranti forzati e abbiamo girato la domanda al dr. Giancarlo Santone, direttore Uosd del Centro Samifo della Asl Roma 1 – una delle aziende sanitarie più grandi del nostro Paese -, che da tempo è impegnato in diversi progetti pluriennali nell’accoglienza e nell’assistenza dei migranti forzati, e ad alcuni suoi collaboratori. Ecco cosa ci hanno raccontato.
«Sulla carta – racconta Santone – la tutela dei diritti è garantita, però abbiamo notizie di difficoltà nel rispetto del distanziamento in alcuni Centri di accoglienza (Ca) con un numero elevato di ospiti. I migranti con patologie croniche che hanno bisogno di continuità assistenziale (prescrizione di farmaci, accertamenti, percorsi riabilitativi) hanno difficoltà nella fruibilità di tali diritti. La chiusura temporanea o la riduzione di orario e personale nei servizi – prosegue il direttore del Samifo -, le barriere di accesso (es. chi ha sintomi attribuibili al Covid-19 non viene visitato e rischia un aggravamento), le difficoltà di collegamento tra i Ca e i medici di base, il fatto che molti migranti hanno perso il diritto all’esenzione del ticket, la disomogeneità nel rinnovo automatico dell’iscrizione al Servizio sanitario regionale (Ssr) nelle diverse Asl, la ridotta disponibilità economica (molti hanno perso il lavoro), sono solo alcuni esempi delle difficoltà del momento».

Come si è organizzato il Samifo per favorire il loro accesso ai servizi? «Il nostro centro – spiega Santone – nel rispetto delle disposizioni, evitando copresenze non indispensabili, ha mantenuto lo stesso orario di apertura garantendo i servizi di medicina generale, psichiatria per le urgenze, ginecologia per le gravidanze, mediazione linguistico-culturale, ortopedia per i casi post-chirurgici. È stato attivato un servizio di consulenza o mediazione linguistico-culturale telefonica, via mail o in videochiamata per pazienti già in carico, nuovi utenti, anche temporaneamente non iscritti al Ssr, e operatori dei Ca. Nell’ambito del progetto Fari2, il servizio dedicato ai minori con equipe multidisciplinare attua una modalità di valutazione e follow-up a distanza, utilizzando adeguate piattaforme digitali». Tra le criticità maggiori da quando l’Italia è in lockdown c’è la carenza di Dispositivi individuali di protezione (Dpi – guanti, mascherine, camici o occhiali) per gli operatori sanitari durante l’assistenza ai pazienti. Come è noto questo…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 24 aprile 

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