Può un’emergenza sanitaria burocratizzare i sentimenti? Sì, forse deve anche farlo ma inevitabilmente le decisioni sulle libertà dei cittadini sono la cartina di tornasole del modello di società che si ha in testa. Ci si avvicina alla Fase 2 con tutti i dubbi e con tutte le discussioni del caso, favorevoli e contrari troppo spesso accesi e sordi come tifosi delle curve contrapposte, e balza all’occhio quello che siamo: ci si occupa di garantire a tutti i produttivi e a tutti i consumatori di poter produrre e consumare agghindati con i dispositivi di sicurezza che servono, ci si occupa di di garantire che non vengano falcidiati i fatturati e ci si occupa che il Paese riparta. Ma al Paese, a quel Paese di cui si tratta nelle interviste e nelle conferenza stampa, manca un pezzo. Gli improduttivi, appunto. I bambini e gli anziani.
Il 4 maggio i genitori torneranno a lavoro ma l’essere genitori da queste parti è una caratteristica secondaria che non merita di entrare nella discussione. Si tornerà al lavoro e non ci è dato sapere cosa sarà dei figli in età scolare e prescolare. Niente, nulla, boh. Si ripete che le scuole devono restare chiuse per evitare il contagio e la frase suona anche credibile se non fosse che la filosofia della Fase 2, quella apertamente dichiarata, è di riaprire “tutti i servizi essenziali”. E quindi diciamocelo, facciamoci coraggio, che la scuola non viene considerata un servizio essenziale, semplicemente. Diciamo chiaramente che i soldi che stanno arrivando dall’Europa e che sono stati messi nel comparto industriale non verranno investiti sulla scuola, ancora una volta. Bisognerebbe avere il coraggio di dirlo apertamente, sinceramente.
Diciamo che la task force sulla scuola non sta nel palazzo delle task force che contano ma rimane relegata al ministero dell’Istruzione. Diciamo che questo dibattito solo sugli esami di fine anno riduce la funzione della scuola al giudizio finale, come se fosse un target aziendale, tralasciandone il ruolo chiave nella socializzazione, nella crescita della propria consapevolezza, nella costruzione di una visione del mondo. Niente. I ragazzi sono quel voto che sarà la loro patente di immunità per poi bussare al mondo del lavoro. Numeri, cose, risultati e spariscono le persone.
Spariscono i bambini e i ragazzi e spariscono le madri, ancora una volta, inevitabilmente. Essere madre in Italia, oggi, significa essersi sovraccaricata di un costosissimo e faticosissimo hobby sentimentale che non interessa alla politica. In Germania i servizi educativi per i figli dei lavoratori essenziali (quelli che non si sono mai fermati) sono sempre rimasti aperti. In Olanda le scuole primarie riapriranno a fine aprile. In Francia le scuole riapriranno l’11 maggio. In Danimarca le scuole hanno già riaperto e in Svezia e Islanda non hanno mai chiuso.
Qui tra poco si arriva al 4 maggio e alle madri si dice (senza dirla) la stessa frase di sempre: care, organizzatevi. E ai bambini e ai ragazzi devono bastare gli editoriali in cui vengono accusati di avere la fortuna di essere bambini. In attesa di diventare finalmente produttivi.
Buon lunedì.
PS.
(Fermi tutti. Molti degli affezionati lettori che seguono il “buongiorno” mi fanno notare che il titolo che ho scelto risulta particolarmente fastidioso perché esclude i padri dal ruolo genitoriale. Nelle mie intenzioni il senso era altro: alle donne, lo dicono le statistiche, viene troppo spesso demandato il peso del welfare famigliare, alle donne viene richiesto troppo spesso di farsi carico di famiglia e lavoro come se fosse un loro dovere storicizzato. Ma non sono riuscito a farmi capire. Penso che ogni volta che un articolo abbia bisogno di una puntualizzazione evidentemente non è stato un buon articolo. E allora prometto che farò meglio, con ancora più attenzione.)