«Mettendo in pausa l’immigrazione, aiuteremo gli americani disoccupati ad essere i primi a riavere il lavoro quando l’America riaprirà» ha dichiarato il presidente Donald Trump per motivare la sua scelta di sospendere i permessi di soggiorno permanenti per almeno sessanta giorni. Dipenderà dallo stato dell’economia statunitense alla scadenza di questo primo termine se l’accesso alla cosiddetta green card verrà sbloccato o meno.
Le spiegazioni del presidente riguardo questa scelta così drastica sono tutte riconducibili ad un presunto benessere dei lavoratori attualmente disoccupati che sarebbero svantaggiati dalla «concorrenza straniera». In realtà non è la prima volta che Donald Trump coglie la palla al balzo per limitare l’accesso agli Stati Uniti. Già nel 2018, con il travel ban, aveva limitato l’accesso agli Stati Uniti a chi proveniva da cinque Paesi a maggioranza islamica e dal Venezuela e dalla Nord Corea perché questi Stati non avrebbero fornito sufficienti informazioni e questo avrebbe potuto rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale. A questo si aggiunge lo strenuo tentativo di allungare il muro al confine con il Messico (di cui è tornato a parlare in questi giorni) e la pratica disumana di deportare gli immigrati entrati in modo irregolare dal confine sud degli Usa.
La realtà prettamente economica dei fatti è che in nessun modo limitare l’immigrazione aiuterebbe l’economia statunitense. Se è vero infatti che dalla nuova misura sono esclusi i lavoratori temporanei, gran parte di chi sta sostenendo i più grandi sforzi durante questa pandemia è di cittadinanza straniera. Secondo i dati di Envoy Global pubblicati da Politico, il 17% di chi è impiegato nel settore sanitario è straniero, come il 24% di chi si occupa in generale del lavoro di cura. Tra i lavoratori altamente qualificati come i medici, il 28% non è cittadino americano. Cacciandoli dai confini nazionali si …
Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE