L’emergenza sanitaria determinata dalla pandemia di Covid-19 ha evidenziato in modo incontrovertibile la strettissima correlazione esistente tra l’economia di un territorio sia esso comune, provincia, regione, nazione o continente, e la salute della cittadinanza intesa come «stato dinamico di benessere psichico, fisico e sociale»; questo principio, destrutturato da anni di economia neoliberista, assume un’importanza fondamentale nell’era della globalizzazione, come drammaticamente dimostrato dalla rapida diffusione del contagio da Sars-Cov-2 che ha rischiato di mettere in ginocchio l’economia mondiale.
Negli ultimi trenta anni abbiamo assistito al travolgente dilagare delle teorie economiche del mercato libero che hanno determinato scientificamente le scelte dei governi orientate ad abbandonare politiche di potenziamento della struttura sociale fondate sulla tutela di diritti necessari al benessere dei cittadini: istruzione, ricerca, cultura, ambiente, lavoro, infrastrutture e salute. Se da una parte in questi anni è stato alimentato l’inganno di un benessere delle società basato sul commercio e sulla produttività, dall’altra è stata smarrita, per non dire deliberatamente smantellata, l’idea fondante e garantita dalla nostra Costituzione, della tutela dei diritti come bene, se volete anche economico, della società.
Come virus, questo sì davvero invisibile e letale, si insinua progressivamente l’idea della spesa per i servizi pubblici come fardello insostenibile e quindi inutile per lo Stato; da un iniziale e legittimo programma di lotta agli sprechi della pubblica amministrazione, inserita nel contesto generale della sostenibilità economica, si passa rapidamente all’idea falsificata della…
* Andrea Filippi, medico psichiatra e segretario nazionale Fp Cgil Medici
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