«In prigione hanno provato ad uccidermi per ben due volte» dice Anwar al-Bounni avvocato siriano attivo nella difesa dei diritti umani. «Sono successe molte cose lì dentro in cinque anni, dovrei parlarne per ore» taglia corto schivando la domanda.
Anwar ha un viso magro, gli occhi scavati e dei baffi stile anni Settanta, ancora di moda all’interno del mondo arabo. È scappato dalla Siria con la sua famiglia nel 2014 e da allora vive in Germania. A Berlino non avrebbe mai pensato di incontrare Anwar Raslan, ex ufficiale del regime di Bashar al-Assad, colui che lo ha arrestato nel 2006. È soltanto per uno stupido scherzo del destino se hanno lo stesso nome.
«Mi hanno imprigionato per aver denunciato le violazioni dei diritti umani e difeso alcune vittime» afferma al-Bounni. «All’epoca – continua – Raslan era a capo della sezione investigativa 285, lui e i suoi uomini mi hanno rapito e arrestato davanti casa». L’accusa era quella di aver pubblicato notizie false e aver indebolito lo spirito della nazione.
«Quando ho visto Raslan qui a Berlino ho deciso di non badare alle mie emozioni, ho cercato di ignorarlo e di concentrarmi sulla mia vita, dovevo cercare un appartamento e sistemarmi. A quel tempo – continua – non sapevo ancora che potesse essere processato qui in Germania».
Si riferisce al processo dell’Alta corte regionale di Coblenza, iniziato lo scorso aprile che vede imputati Raslan in veste di ex ufficiale dei servizi segreti siriani ed Eyad al-Gharib, agente della sua stessa unità. Il primo è sospettato di aver torturato 4mila detenuti tra il 29 aprile 2011 e il 7 settembre 2012, mentre al-Gharib avrebbe inflitto violenze sessuali e torture ad almeno 30 persone. È il primo processo fuori dalla Siria che vede coinvolti alcuni membri del regime di Assad. Un procedimento giudiziario reso possibile grazie al principio di giurisdizione universale, secondo cui, qualsiasi Stato può perseguire una persona accusata di un crimine grave, indipendentemente da dove…
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