Sperimentare da paziente con sintomi sospetti la macchina pubblica di prevenzione e diagnosi del Covid significa spesso imbattersi in code, inefficienze, ritardi. Una realtà che cambia tra i vari territori regionali e parla di un Paese in cui hai diritti solo se nasci nel posto giusto

La gola che inizia a pizzicare. Qualche colpo di tosse di troppo. E poi la linea di mercurio che oltrepassa la fatidica soglia dei 37.5 gradi. Nulla di grave, è una forma di malessere comune quando i primi freddi d’autunno ci fanno dire definitivamente addio alla bella stagione. Non ci sarebbe bisogno di preoccuparsi, se ci trovassimo in tempi normali. Ma la seconda ondata della pandemia, al primo sintomo sospetto, ci costringe a stare all’erta. E a correre ai ripari.

E allora si resta a casa, si prova a mantenere le distanze pure coi propri familiari o conviventi e ci si rivolge al medico per valutare se fare accertamenti. E qui comincia l’odissea che stanno affrontando migliaia di persone che vivono nel nostro Paese. Tra centralini Covid subissati di chiamate, postazioni drive-in per fare i tamponi con code da esodo estivo (fino a 270 auto incolonnate nei centri della Capitale), le squadre che vanno a casa dei sintomatici – le cosiddette Usca – che non riescono a stare dietro alle richieste, laboratori privati che offrono percorsi privilegiati a prezzi talvolta esagerati per chi si può permettere di bypassare la sanità pubblica. Ma le variabili cambiano, non di poco, da regione a regione. Gli otto mesi e mezzo trascorsi dai primi casi confermati di coronavirus in Italia non sono bastati per mettere in piedi un sistema di prevenzione, testing e tracciamento capace di muoversi all’unisono. E così, da Bolzano ad Agrigento, il diritto alla salute dei cittadini viene negato in varie misure.

I sintomi citati qualche riga sopra li ho avuti anche io. Vivo a Roma da molti anni, ma ho ancora in Toscana residenza e medico di base. Provo a contattarlo, ma non può fare nulla. La struttura pubblica in cui potrei mettermi in fila per il tampone molecolare è vicina, ma per accedere c’è bisogno della ricetta di un medico “di famiglia” del Lazio. Chiamo allora il numero verde regionale. Una voce premurosa mi spiega che tutto sommato ho un quadro clinico per cui potrei anche non avere il Covid. È sabato, e mi fa capire che, se le mie condizioni non fossero peggiorate, molto difficilmente qualcuno sarebbe venuto a visitarmi, ed eventualmente a prescrivere accertamenti, prima della settimana successiva. Il suggerimento è di aspettare qualche giorno e richiamare se le cose non migliorano. Passano quattro giorni e la…

Il reportage prosegue su Left del 16-22 ottobre 2020

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