Test e tracing al collasso. Medici di base sprovvisti di vaccini antinfluenzali. Assistenza domiciliare Usca attiva a metà. Controlli sui luoghi di lavoro scarsi e trasporto pubblico insufficiente. Come previsto il Covid-19 torna a colpire, ma ci trova impreparati da Nord a Sud. Ecco perché

La curva dei nuovi contagi giornalieri che torna ad impennarsi, assieme a quella dei ricoveri in rianimazione. Il tempo di raddoppio di questi indicatori sempre più veloce: 5 giorni per i primi e 9 giorni per i secondi (mentre andiamo in stampa, ndr). Il rapporto tra positivi e tamponi effettuati che l’8 ottobre sfonda l’argine del 3%, limite oltre cui secondo la comunità scientifica cominciano a sfuggire troppi casi dal controllo della autorità sanitaria. Percentuale che una decina di giorni dopo tocca l’8%.
È il quadro che ha portato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ad inasprire con il nuovo Dpcm del 18 ottobre le misure di contenimento della pandemia, e che rende sempre più verosimile l’incubo di un nuovo lockdown. Già, perché a nove mesi dal primo contagio accertato in Italia, a sette mesi e mezzo dall’istituzione della zona rossa in tutto il Paese e ad oltre cinque mesi dall’inizio del progressivo ritorno alla “normalità”, la seconda ondata del Covid ci ha colti parzialmente impreparati. Tra sistema di test e tracciamento al collasso in varie zone d’Italia; medici di medicina generale privi di un numero sufficiente di vaccini antinfluenzali; le squadre speciali Usca (create per assistere a domicilio i pazienti) che funzionano a metà; persone stipate su bus, metro e pulmini; controlli sui luoghi di lavoro pressoché inesistenti.
«A questo punto, nessuno può accampare scuse, né a Roma né nei palazzi delle Regioni» dice Vittorio Agnoletto, medico del lavoro, docente di Globalizzazione e politiche della salute alla Statale di Milano e conduttore della trasmissione sulla salute “37e2” di Radio popolare. «Non saprei – aggiunge – quanto non si sia compreso ciò che si doveva fare, ossia una riorganizzazione complessiva della sanità, quanto i decisori politici non siano al livello di questa sfida o quanto si sia scelto di non agire per non toccare interessi di cui si ha timore o si è collusi».
Innanzitutto, non si è potenziata a sufficienza la medicina territoriale, senza la quale è impossibile individuare i focolai. «Ad esempio a settembre il direttore dell’Ats di Milano – racconta Agnoletto – dichiarava di essere pronto a effettuare il contact tracing per cento casi al giorno, a ottobre ha detto che il servizio è stato potenziato ma è comunque saturo. È inaccettabile». Ad oggi i tracciatori sul territorio…

L’articolo prosegue su Left del 23-29 ottobre 2020

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