Alcune riflessioni all'indomani della Giornata mondiale dei Diritti umani

Il bilancio del 10 dicembre 2020, Giornata mondiale dei Diritti umani, è preoccupante: possiamo affermare che il diritto umano alla salute è compromesso non dalla pandemia ma dalla sindemia, ovvero dalla interazione deleteria di due o più malattie o altre condizioni di salute quale conseguenza delle differenze sociali, mentre le politiche sanitarie sono diventate lo specchio tragico del potere esercitato con ingiustizia.

Il diritto umano a decidere di abortire è ostacolato ovunque. In Italia si consente a delle organizzazioni criminali di affiggere manifesti che esprimono tranquillamente la violenza contro le donne. Nonostante l’aborto sia consentito da una legge dello Stato, le influenze cattoliche lo hanno reso un diritto inaccessibile e la maternità anziché essere una libera scelta consapevole, diventa una condanna orribile, per non parlare degli obiettori, ovvero medici con licenza di uccidere negando assistenza sanitaria a chi si è autodeterminata per i propri diritti sessuali e riproduttivi. Una buona notizia arriva dall’Argentina dove, nonostante le interferenze criminogene della chiesa cattolica, le donne sono riuscite ad ottenere una legge che consente loro di abortire.

Gli avvocati che si impegnano per l’affermazione di diritti umani vengono arrestati in Grecia, in Turchia, in Iran, in Cina, in Arabia Saudita, in Egitto, in Russia e la lista dei Paesi si allunga ogni giorno. L’arresto di un avvocato ha una potente carica simbolica repressiva per dire a tutti che non c’è difesa che tenga rispetto alla violenza del regime.

La tortura è praticata ovunque. I detenuti e le detenute nelle carceri italiane subiscono trattamenti degradanti, violenti. Nella civilissima Francia la repressione e la violenza del regime di Macron, il novello Robespierre, veste la divisa da poliziotto con licenza di uccidere per strada, e da qui le nuove norme che vietano di riprendere i poliziotti con telecamere, perché la bestialità non vuole riflettori. In Egitto l’uccisione di Giulio Regeni ha disvelato al mondo intero la ferocia dittatoriale di AL-Sisi il quale in un recente colloquio d’affari proprio con Macron ha persino sostenuto la superiorità dei regimi teocratici rispetto a quelli democratici, perché, a suo dire, affidati alle leggi del loro dio. Francia ed Egitto sono due modelli di governo antitetici, ma riescono ad essere accomunati dallo stesso modello di potere esercitato con la violenza nel disprezzo dei diritti umani.

Il filo conduttore di questo disastro planetario è riconducibile ad un’unica matrice, ovvero la società patriarcale che quasi ovunque ha segnato una alleanza tra l’amministrazione autoritaria e le autorità religiose colpendo prioritariamente i diritti sessuali e riproduttivi delle donne per schiavizzare l’intera società. L’unica alternativa possibile è il rovesciamento delle strutture gerarchiche patriarcali e l’affermazione della società matriarcale.

Una rivoluzione senza vittime è solamente quella che determina l’ascesa della donna. La liberazione della donna è la chiave di volta per la liberazione della società e per una autentica affermazione delle libertà per tutta la società. Occorre ribaltare il ruolo dell’uomo, il suo portato di gerarchie oppressive, il suo capitalismo agghiacciante, la sua bellicosità predatoria. Per dirla con Öchalan: «Le donne sono gli agenti sociali più affidabili lungo il percorso verso una autentica società paritaria e libertaria». La società matriarcale è la nuova frontiera, e adesso in nome di quanto hanno subito e continuano a subire, è il tempo di sostenere l’ira delle donne.

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L’autrice: Carla Corsetti è segretario nazionale di Democrazia atea e componente del coordinamento nazionale di Potere al popolo