Quattrocento morti al giorno. Ottocento ogni due giorni. Duemilaottocento alla settimana. È la media italiana di decessi causati dal coronavirus negli ultimi sette giorni (al momento di andare in stampa, ndr). Una media in lieve calo da metà gennaio, certo, ma che illustra comunque una situazione di assoluta emergenza. Per cui sarebbero necessarie contromisure radicali. Sarebbe ovvio che i decisori politici le predisponessero e le autorità sanitarie e di polizia le facessero applicare. Nulla di tutto ciò, invece. Questi lutti quotidiani vengono ormai dati per scontati. Come se ci si fosse assuefatti a questa strage quotidiana, quasi fosse considerata, a torto, inevitabile.
Mentre infatti le forniture di vaccini subiscono ritardi, il contact tracing è stato abbandonato da mesi, le terapie contro il Covid sono – al momento – armi spuntate, ci si aspetterebbe come minimo un inasprimento delle misure di lockdown. E invece la mappa dei colori che indicano i livelli di confinamento indica un’Italia pressoché totalmente in “zona gialla”. Nel frattempo, durante le consultazioni col presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi, nessuna forza politica ha posto come condizione per la nascita di un nuovo esecutivo un blocco più serio delle attività nel Paese, a tutela della vita delle persone e anche, sul lungo periodo, dell’economia.
Ma quanto è davvero pericolosa questa inerzia? In che fase della pandemia ci troviamo? A che punto siamo con la campagna vaccinale e come potrebbe impattare sulla salute pubblica la diffusione di nuove varianti del coronavirus? Ne abbiamo parlato con Nino Cartabellotta, medico e presidente della Fondazione Gimbe, organismo di ricerca indipendente che promuove e realizza attività di formazione e ricerca in ambito sanitario. Le analisi sul Covid sue e dell’ente che dirige rappresentano un faro per orientarsi con consapevolezza in questa fase delicata dell’emergenza.
Presidente, di recente ha dichiarato che ci troviamo in «una delle fasi più critiche della pandemia», perché?
Perché si tratta di una fase di “calma piatta”, dove la curva del contagio nazionale si è al momento stabilizzata, ma al tempo stesso diversi fattori ne fanno presagire un’imminente risalita. Infatti, gli effetti delle misure restrittive, in particolare quelle della “stretta” di Natale si sono ormai esauriti, l’utilizzo dei tamponi rapidi a scopo di diagnosi e non per screening lascia in giro troppi falsi negativi sottostimando i contagi, l’Italia si è quasi completamente tinta di giallo e sono arrivate le nuove varianti che hanno già portato a zone rosse in alcune province e comuni. In questo contesto, le istituzioni si limitano paternalisticamente ad appellarsi al buon senso dei cittadini che, in fondo, non fanno che adeguarsi a quanto permesso.
Gli ultimi dati parlano di una stabilizzazione dei nuovi casi di Covid, ma in alcune regioni il trend è invece in risalita. Perché e cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi giorni?
Dopo settimane di lenta discesa di tutte le curve, il calo dei nuovi casi settimanali si è…
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