A questo governo “tecnico” è affidata l’ultima grande occasione per un mondo migliore, più giusto e salvo dalla crisi climatica. Ora, tecnicamente questa operazione è assolutamente possibile. Ma l’esecutivo sarà capace di compiere la scelta politica di realizzarla?

Draghi, il “grande orgoglio d’Italia”, richiamato a Roma per salvare il Paese dal collasso. I mercati reagiscono positivamente e l’opposizione parlamentare è lasciata a chi – fino a pochi decenni fa – era estraneo all’arco costituzionale, mentre quasi tutti a sinistra (almeno in Parlamento) plaudono al salvatore sceso da Bruxelles.

In questo contesto, per alcuni, «vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta» è diventato il whatever it takes della crisi climatica. Si tratta della chiosa di un lungo quanto inaspettatamente ambizioso passaggio dell’intervento del nuovo presidente del consiglio al Senato nel giorno in cui ne chiedeva la fiducia. Dedicato a clima, ambiente e transizione ecologica. Infarcito di tanti propositi. Ma tra la retorica sul “bene del paese”, principio per cui Draghi stesso è stato invocato, e la pratica del conflitto nell’agone del Next generation Eu, rispetto a cui bisognerà scegliere realmente, e non solo a parole, con che Paese stare (se con la potente Eni, o con gli operai delle aziende che dovranno “radicalmente cambiare”) corre la linea del redde rationem che Draghi stesso non potrà aggirare. D’altronde, la transizione ecologica non può essere uno spot elettorale, oppure un mero tentativo per alcuni di ricostruirsi una credibilità tornando alle origini. Non può, e non deve più essere, la quinta stella. L’attuale crisi climatica ed ecologica pone una minaccia esistenziale alla nostra società, come nessun’altra crisi aveva mai posto, e non basta una tinta di verde per digerire un nuovo governo chiaramente spostato a destra.

Due crisi, una soluzione.
La transizione ecologica è al contempo la soluzione a due grandi crisi, quella economica e quella climatica: salvare il clima potrebbe avere, come effetto collaterale, la creazione di moltissimi posti di lavoro ben retribuiti (molti di più di qualsiasi investimento legato al mondo dei combustibili fossili, ne è un esempio la follia della metanizzazione sarda), la redistribuzione di ricchezza e in generale la democratizzazione dell’accesso e della distribuzione dell’energia. A tutto questo aggiungiamo altre due necessarie prese di coscienza. Le rinnovabili sono economicamente convenienti: molto più delle fossili. E abbiamo tutte le tecnologie necessarie per iniziare questo passaggio, che non si deve mettere in discussione: esso è una necessità che la miglior scienza disponibile ci chiede ormai da anni.

Un governo ambientalista?
Ministri tecnici nei nodi cruciali di spesa del Next generation Ue, il resto ai politici. Molti analisti, in queste settimane convulse, hanno evidenziato questa scelta di Draghi. Dimenticandosi però che…

 

Gli autori: Luigi Ferrieri Caputi e Giorgio De Girolamo sono attivisti di Fridays for future Italia


L’articolo prosegue su Left del 26 febbraio – 4 marzo 2021

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