Nella zona del Sulcis, in Sardegna, alla crisi del mondo minerario è seguita quella del metallurgico. Le lotte operaie, durissime e tenaci, non sono bastate. Ora tra i lavoratori senza più prospettive prevale la desolazione. Ma c’è anche chi è riuscito a riscattarsi. Siamo andati a ascoltare le loro voci

Le pale eoliche volteggiano ai lati della lunga striscia d’asfalto che porta a Portovesme, l’acciaio arrugginito dei silos, i fumaioli colorati che svettano nel cielo e i lunghi condotti nella zona industriale convivono con la natura selvaggia e arcaica del Sulcis, zona di nuraghi e miniere. Ancora oltre la strada finisce a Portoscuso, c’è la banchina e il mare da dove partono i traghetti per Carloforte. La prima volta che venni da queste parti accompagnato da un sindacalista, mi disse che questo complesso è un puntino insignificante nella cartina geografica, la cultura industrialista di questa zona mineraria tende da sempre a minimizzare le questioni ambientali, invece è uno dei 43 siti nazionali ad alto rischio ambientale, come Balangero, Porto Marghera, Livorno, Taranto, la macchia nera di questa zona della Sardegna meridionale sulle mappe è la più scura ed estesa, se la batte con il litorale Domizio Flegreo della Terra dei fuochi. In questi siti, chiamati Sin (Siti di interesse nazionale per le bonifiche ambientali) i decessi per tumori vengono definiti da studi scientifici “in eccesso”, cioè più alti della media italiana, ma è stata rilevata anche la presenza del cloroformio, e si pensa che siano stati scaricati qui illegalmente anche residui altamente tossici di altre lavorazioni industriali.

Questa è stata storicamente zona di miniere, Carbonia è a un tiro di schioppo, la città del carbone simbolo dell’autarchia mussoliniana costruita in soli due anni sotto il monte Sirai, nelle vicine Fluminimaggiore, Buggerru, Arbus e Ingurtosu c’erano invece i siti metalliferi, terre di epica delle lotte operaie raccontate da Sergio Atzeni ne Il figlio di Bakunin (Sellerio) narrazione corale che cerca di ricostruire la figura eccentrica di Tullio Saba, figlio di calzolaio, agitatore anarchico e minatore, eroe romantico, sciupafemmine e ribelle. L’ultima miniera, quella di Monte Sinni a Nuraxi Figus è stata chiusa definitivamente nel 2019. Proprio dalla crisi del mondo minerario nacque questa zona industriale che sto attraversando in auto, ormai quasi completamente dismessa e desertificata, l’unica fabbrica ancora attiva è la Portovesme srl della multinazionale Glencore, di cui vedo le ciminiere fumanti in lontananza, produzione di zinco da fumi d’acciaio, di cui riesce a recuperare solo il 10%, il resto va in scorie, poi ci sono i 40 milioni di tonnellate di fanghi rossi dell’…


L’articolo prosegue su Left dell’18-24 giugno 2021

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